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‘Botte di Natale’: il canto del cigno di Spencer e Hill

L’ultimo film di Bud e Terence

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Bud Spencer e Terence Hill, la coppia d’oro dei botteghini italiani, chiusero il cerchio della loro carriera insieme con un ritorno alle origini, un western alla vecchia maniera rivolto, quella volta, a tutta la famiglia. Un omaggio non del tutto riuscito a un’epoca d’oro del cinema di genere, che tuttavia riuscì nel suo complesso a funzionare proprio per la semplicità del messaggio di pace e fratellanza, senza far mancare un pizzico di spiritualità.

Il film è attualmente disponibile su Amazon Prime Video.

Botte di Natale con Spencer e Hill: un ritorno alle origini

Travis (Terence Hill), cowboy combinaguai dal grilletto facile e suo fratello Moses (Bud Spencer), padre di dieci figli, sono due cacciatori di taglie che a malapena si sopportano. Per farli ricongiungere, l’anziana madre invia loro una lettera chiedendo loro di passare insieme il Natale un’ultima volta nel grande ranch di famiglia. Scettici e poco propensi a collaborare, accettano di lavorare assieme nel tentativo di catturare il famigerato Stone, il bandito più ricercato del West e incassare la cospicua taglia. Intraprenderanno un lungo viaggio nel Deserto riuscendo pian piano a ritrovare il senso della famiglia che hanno perduto.

Un film nato sotto una cattiva stella

Agli albori degli anni nNovanta Spencer e Hill (al secolo Carlo Pedersoli e Mario Girotti) mancano al cinema da nove anni. L’ultima cartuccia è stato il godibile Miami Supercops del 1985. Botte di Natale vede la luce dopo diversi semafori rossi, idee ambiziose sparite nel nulla, una su tutte un adattamento in chiave semiseria del Don Chisciotte di Cervantes per la cui regia, i giornali dell’epoca raccontano, fu contattato Mario Monicelli. Come rivelato in più occasioni da Giuseppe Pedersoli, figlio di Bud Spencer e produttore di quest’ultima fatica, fu Hill a suggerire l’idea di un nuovo western basato su una sceneggiatura scritta a quattro mani da sua moglie Lori e suo figlio Jess.

Botte di Natale è un film uscito con una ventina d’anni di ritardo. Lo è soprattutto per il cinema italiano di inizio anni Novanta, che vede crollare uno dopo l’altro tutti i golden boys della commedia anni ’70 e ’80. In questo senso Botte di Natale risulta ancora più coraggioso, perché si arrogò il doppio impegno di ridare linfa a un genere boccheggiante come il western e a una coppia, quella di Spencer-Hill, ormai più incisiva sul piccolo che sul grande schermo.

La perfetta chiusura di un ciclo

È chiaro fin dalla prima inquadratura l’intento celebrativo della pellicola, interessata più a rendere omaggio a un’epoca particolare del cinema di genere italiano che nell’impostare una narrazione solida. Botte di Natale non volle proporre nulla di nuovo, al contrario intese chiudere un ciclo concedendosi il lusso di abbandonarsi totalmente alla nostalgia. Questo non vuol dire che sia un film codardo. La faccia tosta stette proprio nel proporre un’opera così ancorata alla tradizione (oggi assomiglierebbe più a un falso documentario sul genere western) in un’epoca sempre meno disposta a prendersi poco sul serio.

Uno degli errori fu aver puntato su una costruzione troppo didascalica e semplicistica, lasciando da parte quel pizzico di genuino cinismo che caratterizzava i western di fine anni Sessanta e inizio anni Settanta. Lasciare troppo campo libero ai piccoli di casa Moses finì per allontanare quel pubblico di appassionati ritrovatosi orfano del lato più cartoonesco, specie nelle celebri scazzottate. Questo anche per delle comprensibili limitazioni anagrafiche dei protagonisti, comunque in grado di reggere quasi due ore di film senza controfigure.

Il tramonto definitivo del western all’italiana

Botte di Natale è stato frettolosamente rimosso dalla mente degli spettatori italiani, essendo slegato rispetto agli altri lavori della coppia anche per quanto riguarda le riproposizioni televisive sulle reti tv nostrane. La fase di stasi del genere western, poi, non ha aiutato. Due anni prima il crepuscolare Gli spietati di Clint Eastwood aveva già chiuso un’epoca omaggiando come meglio non si poteva il western italiano, riconoscendone la prepotente influenza su quello americano. L’ultimo lavoro della coppia, diversissimo nell’impostazione, ma non negli intenti, dal capolavoro di Eastwood, era in ritardo anche su questo.

Troppo buono per essere apprezzato dagli appassionati, troppo old style per conquistare i più giovani, troppo scialbo per essere venduto come avrebbe meritato. Hill e Spencer, tuttavia, scelsero consapevolmente di auto celebrarsi alla loro maniera, infischiandosene della prevedibile fredda risposta del pubblico. C’è poi un aspetto più leggero, ma forse con qualche verità di fondo: alcuni degli spettatori più delusi sostengono che tutto il film sia servito da pretesto per piantare i semi da cui sarebbe germogliato qualche anno dopo un prodotto altrettanto didascalico, quale Don Matteo. A conferma di questa tesi il fatto che in entrambi vi sia Pino Donaggio alla colonna sonora.

Il film giusto al momento sbagliato

Per queste, e tante altre ragioni, Botte di Natale non avrebbe mai potuto funzionare al botteghino. Il cinema italiano di inizio anni Novanta, d’altronde, non aveva risparmiato nessuno dei decani della commedia italiana (Celentano, Villaggio, Montesano solo per citarne alcuni), gradualmente eclissati dai vari Troisi, Benigni, Verdone, De Sica. Gli ultimi a cadere furono proprio gli amatissimi Bud e Terence, che comunque quel dicembre 1994 saranno in buona compagnia con l’uscita simultanea del famigerato OcchioPinocchio, responsabile della crisi professionale di Francesco Nuti. Segno che la commedia all’italiana stava virando decisamente verso un’altra direzione, meno macchiettistica, più interessata all’esacerbazione delle mode del momento, piuttosto che a sorridere per il semplice gusto di farlo e non potersi così arrendere ai tempi che cambiano.

Oggi Botte di Natale è possibile apprezzarlo proprio per quelli che all’epoca vennero etichettati come difetti principali del film: semplicità, universalità del messaggio di fondo, neanche l’ombra di sottotesti. Soltanto la volontà di intrattenere il pubblico. Tutte situazioni rimpiante oggi, dopo più di trent’anni, da quella fetta di pubblico più popolare, satura di un cinema italiano sempre più bacchettone, che insiste nella ricerca a tutti i costi di un’attinenza con la realtà in ogni opera, sia essa dramma o comica. Fosse uscito oggi Botte di Natale avrebbe probabilmente fatto la gioia di quel pubblico di irriducibili amanti di un cinema popolare italiano, semplice nelle intenzioni, ma capace di gareggiare coi corrispettivi alter ego statunitensi. Non era un film del tutto sbagliato, era sbagliato il periodo in cui uscì.

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