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‘Funky Freaky Freaks’ e le fragilità silenziose di un’intera gioventù

Sinonimo di verità: un ritratto sincero e disincantato della Corea del Sud, che fonde genere e cinema d’impegno

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Hongdae, Seoul. All’ombra delle luci al neon dei locali notturni e delle sfarzose insegne dei negozi di una delle aree più conosciute della capitale sudcoreana si nasconde un bar dove il tempo sembra essersi fermato da più di un ventennio. Il suo nome, 바다, significa “mare” e noi, nell’accoglienza delle sue mura vissute, tra cimeli di fine millennio e fotografie di inizio secolo, abbiamo incontrato Han Chang-lok, una nuova promessa del cinema sudcoreano.

Un ragazzo affascinante, taciturno, spesso assorto nei suoi pensieri. Per certi versi, anche lui proveniente, forse, da un’altra epoca. Han Chang-lok al 바다 ci lavora. È lui a viziarti con birre e stuzzichini rigorosamente autoctoni, ma solo nel weekend. A detta sua, stare dietro il bancone gli permette per poche ore di “vivere le persone” e dimenticare le pagine di soggetti e sceneggiature che solitamente gli fanno compagnia. Il resto della sua vita l’ha votata alla Settima Arte. Una sera non abbiamo resistito. Non potevamo non cogliere l’occasione, per approfondire assieme il suo primo lungometraggio. Un film coraggioso, pulsante, scomodo, vincitore dello Special Jury Award all’ultima edizione del Busan International Film Festival.

Il titolo è Funky Freaky Freaks e a noi è piaciuto moltissimo.

Funky Freaky Freaks: per essere un regista promettente, bisogna prima essere un grande spettatore

Han Chang-lok non tentenna un istante nel momento in cui abbiamo voluto indagare sulla sua formazione. Come si poteva presagire dal suo modo di essere alternativo, in quanto cinefilo ha sempre prediletto le grandi opere che hanno saputo creare una spaccatura con il passato.

Il regista è cresciuto a pane e ‘nuove correnti’. Dalla Nouvelle Vague alla New Hollywood, dal Nuovo Cinema Coreano al Cinema Postmoderno Americano. Sono queste le coordinate su cui ha voluto calibrare il proprio stile. In effetti, va subito chiarito, Funky Freaky Freaks non è assolutamente un prodotto patinato, così come non è un esempio di autorialità definitiva. Tuttavia, quel che è certo è che testimonia la ricerca da parte di Hang di costruirsi un’autorialità.

Equilibrio creativo tra ordine e sperimentazione

Gli ingredienti a sua disposizione (e non stiamo sicuramente parlando del budget), li ha accumulati nella propria esperienza da spettatore, da studente e durante la realizzazione di una serie di cortometraggi. Il risultato è un dramma adolescenziale che non disdegna momenti di delicata comicità ed è strutturato secondo tre atti aristotelici: inizio, “Impulse”, svolgimento, “Collision”, e un finale violentemente esplosivo, “Shock”. Uno scheletro narrativo quasi didascalico, funzionale a veicolare il proprio messaggio con chiarezza e precisione.

Ma se il racconto è, senza ombra di dubbio, lineare, essenziale e diretto, non si può dire altrettanto per quanto riguarda la forma. È qui che Han Chang-lok dà sfogo al proprio estro autoriale nel tentativo di rispecchiare anche nell’estetica del film quanto provato dai suoi tre protagonisti. Alterna così momenti più rilassati a piroette visive la cui dinamicità risiede nell’utilizzo quasi costante della camera a mano e nella presenza di grandangoli. Il tutto abbellito da una colonna sonora che assieme a una serie di coloratissime cornici riavvolgono l’orologio fino ai video di MTV degli anni ’90. Semplicemente irresistibile.

Funky Freaky Freaks e il coraggio di strappare un velo ammaliante

“Questo film ci provoca e ci sfida a comprendere una generazione che lotta per dare un senso all’assurdità e all’insensatezza del mondo moderno. Lo fa creando un linguaggio cinematografico che riflette questo caos e questa follia senza perdere di vista ciò che significa essere umani al suo interno.”

Queste le parole con cui la giuria del BIFF, capitanata da Na Hong-jin, ha celebrato Funky Freaky Freaks. Termini con cui non potremmo essere più d’accordo. In un’epoca in cui l’apparire prevale sull’essere, Funky Freaky Freaks apre uno squarcio su quanto si cela dietro una superficie illusoria. Han Chang-lok ha un obiettivo chiaro: la demitizzazione della società sudcoreana contemporanea. Abbandona le strade delle grandi metropoli come Seoul, Busan, Incheon e, sorretto da una scenografia più fredda, fatiscente, “morente”, strappa il velo che contribuisce a dare un’immagine puramente idilliaca della Corea del Sud al resto del mondo. In una realtà meno caotica le solitudini interiori si intrecciano e si sfiorano nella costante ricerca di una comprensione.

I tre protagonisti, scritti e interpretati divinamente, incarnano tutto il disagio di una gioventù costretta alla decadenza. Han apre il sipario sulle preoccupazioni e sulle inquietudini di un’intera generazione, per poi renderle matrici di un fragile gioco tra la vita e la morte. Brillante, coraggioso e consapevole, Funky Freaky Freaks trasforma l’irreparabile isolamento interiore dei suoi protagonisti e i loro impulsi autodistruttivi in un coro di voci, capace di scuotere una platea silenziosa, abituata troppo spesso a fingere di non vedere.

Niente più distrazioni, bisogna guardare

Funky Freaky Freaks mediante i suoi personaggi esplora tematiche delicate e ancora oggi divisive, ancor più quando si parla di un Paese come la Corea del Sud. Han Chang-lok non parla della propria generazione. Lui è classe ’90; i protagonisti del suo film vanno al liceo. Decide quindi di restituire l’attenzione che merita a una nuova gioventù, a cui guarda con ammirazione, ma anche con preoccupazione. Han sostiene che in Corea del Sud gli adolescenti siano sempre più pessimisti. I giovani non riescono più a celare le ingiustizie sociali. Spesso, esplodendo in atti impulsivi, proprio come quelli compiuti dai protagonisti del film.

“La sceneggiatura ha preso forma nel 2023, ispirata da un episodio di cronaca. Un uomo aveva scosso la Corea del Sud, rendendosi protagonista di una serie di accoltellamenti a danno di innocenti. La risonanza fu tale da aprire i miei occhi su quanto male ci fosse nel mio Paese.”

Da queste parole del regista si possono trarre due logiche considerazioni. La prima è che la perdita di controllo in una società collettivista, come quella sudcoreana, è sintomo di un malcontento sociale, diffuso intergenerazionalmente. La seconda è che, in Funky Freaky Freaks, la scelta di optare per dei protagonisti adolescenti testimonia la particolare sensibilità di Han Chang-lok verso coloro che saranno il futuro della Corea del Sud. Se non si può curare il passato, tanto vale occuparsi del prossimo avvenire. Han Chang-lok perciò si espone abbastanza chiaramente, indicando dove intervenire, per poter tramutare, attraverso una profonda presa di coscienza, una serie di patologie sociali endemiche in qualcosa di sporadico.

Il film è un tenue faro per il futuro del cinema indipendente

Il cinema indipendente è una creatura fragile, costantemente minacciata dalle spietate dinamiche economiche insite nel settore. Nella realtà iper-capitalistica della Corea del Sud questo fenomeno è ancora più evidente. Parlando di numeri, il divario tra le grandi produzioni e quelle a basso costo sembra essere apparentemente insormontabile. Nonostante questo, il cinema indipendente sudcoreano è più vivo che mai e si presenta come un terreno fertile ricco di nuove proposte. La Giuria dell’ultima edizione del Busan International Film Festival, premiando Funky Freaky Freaks, non ha fatto altro che ricordarlo, dando un segnale non indifferente. Mostrando una certa sensibilità nei confronti delle produzioni a basso costo, questa kermesse ha dimostrato di essere sempre di più sinonimo di attenzione verso un cinema inusuale e diverso. Chissà, forse, proprio grazie a questo momento di gloria, Funky Freaky Freaks diverrà presto un film cult per gli appassionati del cinema indipendente orientale.

Noi ce lo auguriamo.

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