Lo Stato “spiaggioso” della Florida, sud-est degli Stati Uniti, visse uno dei suoi momenti più bui quando la morte di una sua cittadina mise in berlina i valori di giustizia che sbandiera.
Dopo che al Sundance Film Festival ha vinto come miglior regia, ora The perfect neighbor (2025) è in corsa per l’oro a Los Angeles. Il documentario di Geeta Gandbhir vorrebbe veder fruttare la propria nomination agli Oscar di marzo 2026 e a Netflix un riconoscimento che la piattaforma non ottiene da quattro anni. Soprattutto ora che il nome di Susan Lorincz, la “vicina perfetta”, è sulla bocca di tutti gli abbonati del colosso streaming.
The perfect neighbor: la normalità che esaspera ma non giustifica
Ripresa dalle dash-cam e dalle body-cam della polizia, Susan Lorincz, di 58 anni all’epoca, abita in una casa in affitto nella contea di Marion, Florida, e appare come una persona normale, solitaria e infastidita dagli schiamazzi dei bambini che giocano in strada o nel campo accanto a casa sua. Una normalità snervante.
Il fastidio si trasforma presto in ossessione, e l’epilogo è tragico. Dopo tre anni di liti tra vicini, richiami e minacce ai ragazzi che (suvvia) stanno solo “facendo i ragazzi”, e interventi ripetuti delle forze dell’ordine per raffreddare il ferro che sta pian piano diventando caldo, tutto all’improvviso tace, una sera di giugno, e il ferro, bollente, esplode in un colpo da dietro una porta chiusa.
Il 2 giugno 2023, qualche minuto dopo le 21, Susan Lorincz uccide la sua vicina di casa, Ajike “AJ” Owens, madre nera di quattro figli. Per difendersi dalle accuse, Susan si appella a una legge della Florida, la “stand-your-ground” law. Traducibile in “difesa ad oltranza”, la legge avrebbe permesso a Lorincz di sparare contro Owens essendosi sentita minacciata da quest’ultima. La legge avrebbe così garantito la legittima difesa, ma le modalità dell’assassinio e alcune incongruenze nella versione di Lorincz fecero seguire ai detective la pista della premeditazione, che portò Lorincz, senza più appigli, alla condanna.
Fotogramma di The perfect neighbor (2025). A destra Ajike Owens, tre anni prima della sua morte
La difesa per errore
“Sono una regista di documentari. È la curiosità a guidarmi sempre. Come siamo passati da una banale disputa sui bambini che giocavano nel cortile vicino alla casa di Susan al fatto che lei abbia preso una pistola e ucciso AJ? Come è potuto succedere?” (Rolling Stone)
Un documentario crudo e “sporco”. Sono i filmati di videosorveglianza, delle body-cam e dei telegiornali di allora, a raccontarne i chi, i come e i quando, costruendo tassello dopo tassello il mosaico finale. Guardandolo finito, si pensa che non ci possa essere fine al peggio. Gandbhir invece scruta il proprio Paese e lo fa con la coscienza di chi ha le armi – filmiche – per capirlo e dire: no, ci può essere fine al peggio.
La difesa, per “errore”, di una madre che protegge i figli lanciandosi dritta nelle braccia della morte deve aver convinto Gandbhir di questo.
The perfect neighbor ricostruisce l’omicidio del 2023 e la violenta scure che, poi, si abbatté su un sistema di giustizia che fa acqua. Il fatto di violenza, estrema e, per il tribunale, giustificata da rabbia più che da paura, scatenò l’indignazione pubblica. I famigliari di Owens divennero il pugno di ferro col quale ribellarsi a un sistema che protegge i “bianchi” e condanna i “neri”, e a una legge pericolosa che sveglia le ansie e le paure anziché spegnerle. Si è calcolato che la legge “stand-your-ground” (vigente in altri trentotto Stati degli USA) potrebbe aver incrementato il tasso di omicidi del 3%, consistendo in circa settecento morti in più all’anno.
La vicina perfetta
The perfect neighbor è una spirale realistica di violenza e smania. Troppo vero, troppo vicino, troppo troppo. Non c’è scandalismo né sensazionalismo nel vedere morire una persona e nel vederne punita un’altra. Geeta Gandbhir fa bene a non giocare con alcun climax.
Il documentario, con sobrietà disarmante e una linearità cronologica che non dà spazio a voci fuoricampo (merito del lavoro a quattro mani di Gandbhir e Viridiana Lieberman), è inflessibile nel denunciare il quadro giuridico della Florida, ampliando poi lo sguardo a quello umano: della disparità razziale e sistemica, dell’ansia sociale e della rabbia che prova chi si sente come un animale in gabbia, e chi la preda che sta per essere braccata.