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‘Voglia di tenerezza’ l’affettività come percorso personale

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Voglia di tenerezza è uno di quei film che quasi tutti hanno visto almeno una volta nella vita e di cui si finisce per dare per scontata la grandezza.

Aurora, un’ immensa Shirley McLaine, con il suo carattere dominante e orgoglioso, sembra incapace di esprimere affetto in modo diretto, mentre Emma, una Debra Winger spontanea e vulnerabile, cerca una propria strada lontano dalla madre pur continuando a sentirsi legata a lei. Questo movimento continuo tra distanza e vicinanza è ciò che da dinamicità al film dall’inizio alla fine.

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Voglia di tenerezza è Aurora e Emma

Il film racconta la storia del rapporto tormentato fra Aurora Greenway (Shirley MacLaine), rimasta vedova ancora giovane, e sua figlia Emma (Debra Winger), che si butta in un matrimonio infelice spinta dal desiderio di allontanarsi dalla madre, con la quale rompe i rapporti.

Il tono della regia di James L. Brooks contribuisce a rendere questo rapporto credibile e sfaccettato, perché alterna momenti comici a momenti drammatici senza che il contrasto appaia artificiale. La vita dei personaggi scorre davanti allo spettatore con un realismo che sembra quasi casuale, come se stessimo assistendo a episodi ordinari di una famiglia qualunque, e proprio per questo riconoscibili. Anche il personaggio di Garrett, un bravo Jack Nicholson, funziona come contrappunto ironico e sentimentale alla rigidità di Aurora: attraverso di lui, Aurora impara a lasciarsi andare, scoprendo una forma di tenerezza che le era sempre sembrata pericolosa.

Il momento in cui la malattia di Emma entra nella storia non interrompe questo andamento ma lo approfondisce. È come se tutto ciò che prima era rimasto implicito trovasse finalmente un modo per emergere: l’amore trattenuto, i limiti non confessati, i rimorsi e i desideri. La malattia non è trattata come un evento melodrammatico, ma come una rivelazione lenta e dolorosa di ciò che davvero conta.

Paramount Pictures | Paramount Pictures

La forza del film

La forza del film sta proprio in questo: racconta  relazioni imperfette, contraddittorie, piene di errori e per questo credibili. Racconta di dipendenza affettiva. di legami che oggi definiremmo tossici, di emancipazione femminile che si traduce in frustrazione, di tradimento, colpa e perdono.

La famiglia è un un miraggio lontano, l’amicizia resiste alle tempeste ma si trasforma , la genitorialità è a doppio binario, la vergogna si trasforma in risentimento prima, in odio poi e in rimpianto infine.

La speranza non ha spazio nel film di Brooks che si traduce tutto in una sconfitta continua, in una ripartenza che non avviene mai e in un commovente, lungo e continuo separarsi senza mai realmente ricongiungersi.

Il dolore e la malattia appaiono quasi catartici anche se inaccettabili, incompresi, troppo difficili da accettare prima e superare poi, anche se poi la fine arriva a concludere la storia senza ne vincitori o vinti. Emma non è certamente tra i vittoriosi ed Aurora ha solo imparato ad accettare l’amore e a donarne.

È un film che fa ridere e commuovere Voglia di tenerezza, perché riconosce che la vita ha mille aspetti, che non è tutto o nero o bianco e che il legame tra madre e figlia, ma anche tra moglie e marito, può essere insieme soffocante e indispensabile. Alla fine resta la sensazione che la tenerezza non sia un sentimento semplice da comprendere e gestire , ma solo un cammino che i personaggi percorrono lentamente, quasi senza accorgersene.

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