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‘L’ombra del corvo’: un film che si nutre di silenzi e di cenere

In sala dall’ 11 Dicembre

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C’è un silenzio particolare che apre L’ombra del corvo: non è quello del dolore, ma quello di ciò che rimane quando il dolore smette di urlare. Dylan Southern lo cattura con un controllo registico sorprendente, costruendo un racconto che procede per suggestioni visive, lasciando allo spettatore il compito di respirare dentro un’assenza che pesa come un personaggio. Al centro, Benedict Cumberbatch regala allo spettatore una delle sue interpretazioni più vulnerabili: un padre che attraversa il lutto come un territorio ostile, guidato, o inseguito, da una creatura simbolica che prende la forma di un corvo gigante, inquietante e magnetico. È un cinema che racconta il dolore per immagini e gesti minimi. Un’opera che riflette sul significato stesso di sopravvivere.

Dopo essere stato presentato in anteprima alla Berlinale 2025, L’ombra del corvo uscirà al cinema l’11 dicembre distribuito da Adler Entertainment. Diretto da Dylan Southern e con protagonista Benedict Cumberbatch, il film è tratto dal romanzo di Max PorterIl dolore è una cosa con le piume”.

L’ombra del corvo. La trama

L’Ombra del corvo racconta la storia di un giovane padre (Benedict Cumberbatch) e dei suoi due figli piccoli che, dopo la morte improvvisa della madre, si trovano a fronteggiare un dolore indicibile. Mentre cerca di mantenere una vita normale per i suoi due bambini, nelle loro vite irrompe un’enigmatica creatura, un corvo parlante, saggio e feroce, che diventa guida e minaccia, costringendoli ad affrontare la perdita e a ricomporre il proprio mondo attraverso la memoria e la parola.

“Se ne andrà solo quando non ne avrai più bisogno”

La prima parte del film L’ombra del corvo è intrisa da uno strano senso di quiete apparente, come se il mondo trattenesse il fiato prima di svelare un dolore antico. Il regista, Dylan Southern, apre una fessura nella quotidianità di un padre che ha smarrito ogni direzione. Il personaggio portato in scena da Cumberbatch è distrutto dalla perdita. Ha il volto scavato e una presenza capace di sostenere il peso di ciò che non si può dire. Un modo unico di abitare la fragilità che sembra vivere ogni secondo in bilico tra la resa e la resistenza. Cammina come se ogni passo fosse una domanda irrisolta.

E poi c’è il corvo: una figura antropomorfa, simbolica, arcaica, messaggero del lutto e della rinascita. L’oscurità che si posa sulle spalle del protagonista. L’ombra del corvo non vuole spiegarci il dolore. Lo mostra come un’ombra che vibra nella camera dei bambini, come un rumore muto sotto la pelle. Il protagonista, un padre che ha perso la moglie e che resta solo con due figli, non è un eroe. È un uomo che trema, che inciampa nelle sue giornate, che ogni mattina infila le mani nella cenere di una vita spezzata. Il risultato è un’opera che abita il confine tra realtà e incubo, dove l’immagine diventa confessione.

Dare una forma al dolore

La messa in scena è lenta. L’appartamento, le stanze, la luce che filtra a intermittenza: tutto è scelto per non abbellire. E quando emerge la figura del corvo, l’elemento surreale rende il dolore ancora più insopportabile. C’è una convivenza inquietante tra l’ovvio e l’invisibile: nei gesti quotidiani, nutrire i bambini, fare colazione, infilare i vestiti della mamma in scatole di cartone, il dolore pulsa, vibra. Respira dentro ogni inquadratura. E in alcuni passaggi il corvo diventa un po’ troppo “mostro” per essere davvero la metafora del dolore. Il lutto non procede in avanti. Si accartoccia e ritorna, più forte. Ti graffia mentre dormi. Il film, vuole mostrarti l’abisso. Non c’è un finale che aggiusta, non c’è una morale che consola. E il risultato è spesso inquietante e, proprio per questo, difficile da dimenticare.

“Il lutto diventa immagine, il pianto ombra, la perdita presenza.”

La simbologia del corvo e la figura del padre

Il corvo è da sempre legato a una lunga simbologia. Messaggero tra mondi, custode dell’invisibile, animale che sa trasformare la morte in narrazione. Ma qui il corvo diventa qualcos’altro. Non è un spettro che tormenta ma la rappresentazione fisica di ciò che resta quando qualcuno che amiamo scompare. È il lutto che entra in casa, apre i cassetti, si siede sul letto e, soprattutto, ti parla. Costringendoti a fare i conti con l’assenza. Non consola, non accompagna. Occupa. Invade. Ti tiene sveglio la notte e ti obbliga a guardare da vicino quello che preferiresti evitare. E poi c’è la figura del padre. Un uomo che non ha scelto l’eroismo, che non sa neppure se crede ancora nella parola domani. Si muove tra due figli che, impauriti, lo osservano sperando che regga. È un padre che non sa più essere padre, perché il dolore lo ha svuotato. E in questa nudità emotiva, così privata e così universale, c’è tutta la dignità del film.

Il corvo lo segue ovunque, come una domanda che non vuole risposta. Lo provoca, lo deride, gli soffia addosso la verità: non puoi guarire finché non ti lasci attraversare. Ed è qui che il film diventa quasi un rito: la bestia come figura che costringe l’uomo a sporgersi sull’abisso e a riconoscersi per ciò che è: un padre ferito che tenta di non far cadere il mondo addosso ai propri figli. Un uomo che cammina da solo in un appartamento troppo grande, troppo silenzioso, troppo pieno di assenze. Il regista Southern filma tutto questo con una delicatezza che a volte taglia più del dolore stesso. Le camere diventano stanze della memoria, le luci tremano come se avessero paura di illuminare troppo.

Risorgere dalle ceneri

Il corvo, seduto in un angolo, a volte sembra un gigante pronto a divorare, altre una figura amichevole che ti abbraccia quando hai smesso di avere parole. Il corvo è qui per restituire la vita, quella che nasce dopo che tutto è andato in pezzi. Perché, quando finalmente permetti al dolore di entrare, ne esci rinforzato. Ti riscrive. Ti insegna la lingua della sopravvivenza. E così, quando il protagonista guarda il corvo non più come un nemico ma come un compagno di viaggio, capiamo che qualcosa si è rotto e qualcos’altro ha cominciato a respirare. Il padre ritrova un centro, imperfetto e fragile, ma suo. E forse è proprio questo il sussurro che rimane quando lo schermo si fa nero: che il lutto non è un’ombra che ci segue, ma una creatura che cammina con noi finché non siamo abbastanza forti da camminare da soli. Questa, più di tutto, è la storia che Southern racconta: un uomo, un corvo, e la lenta, sofferta arte di tornare vivi. L’ombra del corvo è un film che non ti dà pace. Ti lascia con un corvo in casa, e con il silenzio che, per qualche tempo, fa più rumore di qualsiasi voce.

Il trailer del film L’ombra del corvo

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