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‘Il rapimento di Arabella’: intervista a Benedetta Porcaroli e Carolina Cavalli

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Dopo l’esordio folgorante con Amanda, Carolina Cavalli torna alla regia con Il rapimento di Arabella, affidando nuovamente il centro della scena a Benedetta Porcaroli. La Holly che abita il suo film è una ventottenne convinta di essere “la versione sbagliata di sé stessa”.
Sospesa tra ciò che è stato e ciò che non riesce ancora a diventare, vive in un presente che scivola, mentre i ricordi continuano a reclamare spazio. Dietro la sua apparente durezza emerge una fragilità limpida, una vulnerabilità che riaffiora con la naturalezza di qualcosa rimasto troppo a lungo taciuto.

Benedetta Porcaroli e Lucrezia Guglielmino in una scena del film

Un incontro che cambia tutto 

In questo scenario sospeso tra realtà e immaginazione, una sera Holly incontra Arabella — la sorprendente Lucrezia Guglielmino — fuori da un fast food. La bambina, vivace e ribelle, è molto legata al padre (Chris Pine), ma guidata da un irresistibile istinto di fuga e desiderio di indipendenza. L’incontro tra le due non ha nulla del rapimento canonico; al contrario, è un cortocircuito emotivo che attiva ricordi, desideri e sogni. 
Holly riconosce in quella bambina un’eco della propria infanzia e vede in lei l’opportunità di riscattarsi, di realizzare finalmente il sogno di diventare ballerina — un sogno a cui da piccola aveva rinunciato e che ancora rimpiange. Arabella, con la spontaneità tipica dei bambini, accetta il gioco. Nasce così un legame profondo, uno scambio sincero e puro che arricchisce entrambe.

Un viaggio poetico nell’ infanzia ritrovata

Cavalli imposta il film su una linea sottile in cui il surreale e il quotidiano si toccano con naturalezza. Costruisce un mondo sospeso, popolato da figure bizzarre, eccentriche e luoghi privi di coordinate definitive, in cui l’assurdo convive con momenti di intima lucidità. E proprio mentre l’onirico sembra prendere il sopravvento, la regista riporta lo spettatore alla concretezza più nitida: il sogno non basta, i desideri devono fare i conti con i confini della realtà, e ogni illusione presenta il suo prezzo.

Holly non è ingenua; sa riconoscere le crepe e le cadute della vita. Il suo bisogno di sentirsi speciale nasce da una lucidità dolorosa, da un desiderio di riscatto che non ha nulla di capriccioso. Arabella diventa il filtro attraverso cui questa consapevolezza prende forma: il loro viaggio non segue una geografia reale, ma disegna piuttosto un itinerario interiore in cui passato e presente si sfiorano, si confondono, si chiariscono.

Bendetta Porcaroli, Carolina Cavalli e Marco Bonadei (foto di Maria Corrada Verardi)

Un piccolo miracolo del cinema contemporaneo

È un film che lascia una traccia tangibile. La sua impronta è come un vento che smuove senza travolgere, e che invita a rivolgere lo sguardo avanti, alla vita, nonostante tutto. Cavalli non contrappone immaginazione e realtà: le intreccia, le sovrappone, le fa dialogare fino a generare un linguaggio nuovo, in cui ogni immagine è un passo verso una comprensione più profonda.

Ed è con questa grazia – sofisticata, precisa, ormai riconoscibile – che Carolina Cavalli firma un’opera audace, poetica e feroce nella sua sincerità. Una storia che commuove senza preavviso, che resta nella memoria come un piccolo, prezioso miracolo del nostro cinema contemporaneo.

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