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‘Springsteen – Liberami dal nulla’ : quando il successo non basta più

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Il 23 ottobre 2025 è uscito al cinema Springsteen – Liberami dal nulla (Springsteen – Deliver Me From Nowhere). Tratto dall’omonimo libro di Warren Zaner e prodotto da 20th Century Studios, il biopic diretto da Scott Cooper ci trascina a inizio anni ’80, con il giovane rocker, travolto dalle battaglie interiori e alle prese con la registrazione dell’album Nebraska.

Springsteen – Liberami dal nulla

Sei un cantante che punta all’Olimpo del Rock. Dopo anni di tentativi ci stai riuscendo davvero: hai appena chiuso un tour trionfale con l’album The River e adesso sei atteso dalla definitiva consacrazione. Un passo quasi scontato, visto che stai lavorando a un album che sembra un successo annunciato: Born in the U.S.A. Ma sei Bruce Springsteen. E all’alba degli anni ’80 senti l’urgenza di fermarti e guardarti alle spalle. Qui, inizia Springsteen – Liberami dal nulla: nell’attimo in cui l’autore di Born to Run capisce che deve tirare il fiato. Le ombre del passato non possono essere più ignorate: sono macigni che non riesci più a sopportare. Così il Boss impugna la sua chitarra, si chiude in una stanza e incide l’album con cui prenderà per mano quel dolore per condurlo alla guarigione: Nebraska.

Un’anima in controluce

Il film scava nel momento più cupo e intimo di Bruce, penetrando nell’anima con la stessa forza con cui le imperfezioni e l’eco di un passato ingombrante attraversano quelle registrazioni casalinghe. In esse Bruce trova l’opportunità, al tempo stesso ricercata e inaspettata, di fare i conti con la sua infanzia. L’ombra del padre è enorme, capace di ostacolare ogni luce interiore del giovane rocker. Ed il regista, Scott Cooper, sembra voler tradurre visivamente l’imponenza di quell’ingombro emotivo: la casa immersa nel verde e le stanze, inondate dalle melodie embrionali di Nebraska, vengono illuminate quasi solo dalla luce esterna. Dentro tutto è soffuso o spento. Lo spazio interiore di Bruce, tradotto in immagini.

Un silenzio che fa rumore

All’alba dei trent’anni Bruce vive un’esistenza di contrasti: il frastuono del successo, le urla dei concerti e quell’immediato isolamento, quel silenzio ancor più rumoroso. I colori di questo presente oscuro vengono macchiati da quel bianco e nero di un’infanzia dimenticata. L’ossessione di avventura e fiducia nel futuro si scontrano con i sensi di colpa per essere fuggito dal luogo in cui è nato. E proprio da questi sensi di colpa, nasce quel cambio di strada: dal rock al folk, da Born in the U.S.A. a Nebraska.

Jeremy Allen White as Bruce Springsteen in 20th Century Studios’ SPRINGSTEEN: DELIVER ME FROM NOWHERE. Photo by Macall Polay. © 2025 20th Century Studios. All Rights Reserved

Un biopic che cura, non celebra

Il film ci accompagna nella dimensione di una rockstar, e ci fa comprendere, non la sua grandezza, ma la fragilità che incombe appena sceso dal palco. Riusciamo non solo a empatizzare verso Bruce, ma a guardare suo padre con i suoi stessi occhi. Avvertiamo la paura mentre lo cerca al bancone del bar, l’istinto e il coraggio mentre lo affronta durante una lite. Il senso di colpa e il perdono, infine, quando lo ritrova anziano e riconosce comunque i suoi sforzi di padre.

I sensi di colpa per la fuga

Nebraska nasce con Bruce, seduto ai piedi del letto, mentre guarda in televisione Badlands di Malick, ispirato dal serial killer Starkweather. Sono proprio le storie di uomini colpevoli a sostenere la narrativa di quell’album. Inconsciamente Bruce cerca di espiare le proprie colpe attraverso le loro. Li vede come tanti alter ego. Da qui la scelta di non narrare quelle vicende, ma di cantarle in prima persona. Fu questo, forse, il primo passo per attraversare la depressione e sfogarla in quella cassetta senza custodia.

Noi crediamo in Jeremy Allen White

(L-R) Jeremy Allen White as Bruce Springsteen and Jeremy Strong as Jon Landau in 20th Century Studios’ SPRINGSTEEN: DELIVER ME FROM NOWHERE. Photo by Macall Polay. © 2025 20th Century Studios. All Rights Reserved

Jeremy Allen White porta sul grande schermo quel giovane Bruce senza farne una caricatura, ma trasmettendo ansie e paure. Compie un capolavoro sul fronte vocale, ricreando quella voce inconfondibile, graffiata e autentica come nessun’altra. Sfrontato nelle poche scene del palcoscenico, quasi intimorito di fronte a una possibile guarigione e infine risoluto nell’imporre la sua visione all’intera industria discografica.

E in Bruce Springsteen

Quel che portiamo a casa, con Springsteen – Liberami dal nulla, non è il Boss, ma Bruce. Capace di staccarsi da quelle ombre, di fuggire portando con sé l’immagine di un padre taciturno e burbero, i cui contorni erano sporcati prima dal senso di colpa e poi ridefiniti dal perdono finale. Un passo arduo, per usare un eufemismo, ma mai messo in discussione. Perché noi “crediamo in Bruce Springsteen”.

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