Festival dei popoli

‘Waithood’: cronache di un viaggio

Sospesi tra due mondi, due nazionalità e due identità. Tra l’ignoto dell’ adolescenza e i timori della vita adulta

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Sospeso tra due mondi, due nazionalità e due identità. Tra l’ignoto dell’ adolescenza e i timori della vita adulta. Diretto da Paola Piscitelli, Waithood segue il doppio viaggio, on the road e di vita, del giovane Mauro, capoverdiano a Napoli e italiano nato a Capo Verde. Cinque anni di riprese e lavoro che seguono la crescita e il percorso intimo di uno dei nuovi global citizen, in cerca di una conformazione identitaria tutta da scrivere. In concorso al Festival dei Popoli.

Chi sono, chi sono stato e chi diventerò

Waithood segue negli anni e nella crescita il giovane Mauro: cresciuto a Capo Verde ma per tre quarti italiano e con la voglia di tornare alla isola natia. Sospeso tra un permesso di soggiorno e un altro diventa rappresentante della condizione di attesa di un nuovo mondo ove i confini nazionali, linguistici e culturali sono sempre più diffusi. Una cittadinanza liquida che è chiara per chi la vive ma che le istutuzioni nazionali non hanno compreso.

Il documentario muove il racconto tra il viaggio reale e quello mitico, costruito nella leggenda e nell’immaginario d’archivio in pellicola di un isola che diventa spazio d’incontro e simbolo di metamorfosi. Accanto alla regista, la voce del performer António Tavares introduce la fiaba di Blimundo, il bue che voleva essere libero, filo simbolico che accompagna il viaggio di Mauro.

Piscitelli accompagna da osservatrice, confidente e protagonista Mauro, riscrivendo i rapporti comunicativi permessi nel cinema del reale tra osservato e osservante ma soprattutto diventando traccia una disparità tangibile: Paola viaggia dove Mauro non può, simboli di un rapporto impari predeterminato.

Cercare l’appartenenza oltre l’origine

Waithood  è, innanzitutto, un movimento continuo tra Napoli e São Vicente, tra il desiderio di appartenenza e la fatica di riconoscersi in una sola origine. Mauro, nato e cresciuto in Italia, cerca un legame con la terra della madre, ma il suo viaggio si arresta spesso sulle rive di Napoli, in una waithood – un’attesa sospesa – che è tanto burocratica quanto di sviluppo personale, mito della Boyhood di Linklater.

Il film affronta il tema identitario con una profondità mai forzata. Dal dialogo con un barbiere per le vie di Napoli – se sei metà italiano e metà africano sei il conquistatore o sei il conquistato? Sei bianco o sei nero? Sei nero perché gli altri ti vedono nero o sei bianco perché ti senti italiano? – allo scontro con una nuova realtà dell’isola attraverso il passaggio di Mauro alla tomba della nonna mentre due uomini litigano per accaparrarsi il lavoro di pulirla, le questioni di confine post-coloniali non risultano mai banalizzate ma disvelate con intelligenza.

La regia costruisce un tessuto visivo stratificato, in cui la narrazione non lineare restituisce la sensazione di una memoria in divenire, dove passato e presente si toccano in una costruzione temporale come movimento geografico tanto quanto interiore.

Un’osservazione sentita della questione identitaria con profondità mai didascalica. Perchè pensiamo alla persona come un soggetto singolo ma lo sappiamo da tempo che conteniamo moltitudini.

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