Festival di Roma
‘Hamnet’: un viaggio catartico nelle fondamenta della tragedia per eccellenza
In concorso
Published
2 mesi agoon
Inutile girarci intorno, in Italia siamo spesso in ritardo relativamente alla distribuzione di quei fenomeni cinematografici che si generano oltreoceano. A partire dalla sua anteprima mondiale a Telluride, Hamnet, il nuovo film di Chloe Zhao (Nomadland), si è rapidamente consolidato come il principale evento festivaliero di questa stagione.
Il trailer di ‘Hamnet’ di Chloé Zhao promette una sconvolgente tragedia shakespeariana
Le recensioni pressoché immacolate che ha accumulato, così come l’incetta di premi che ancora sta portando avanti, sono solo la naturale conseguenza della viscerale risposta emotiva che sembra suscitare nella gran parte degli spettatori. Una sorta di isteria di pianti collettiva documentata sul campo da diverse fonti, il cui emblema è rappresentato dalla vittoria del People’s Choice Award del Toronto International Film Festival. Votato democraticamente dal pubblico nella sua interezza, questo premio rappresenta a tutti gli effetti il riconoscimento più importante dell’evento che è ormai universalmente etichettato “festival del popolo”.
Che si tratti di un’esagerazione fomentata dall’entusiasmo fisiologico che accompagna il contesto festivaliero, o di una legittima risposta emotiva alla qualità del prodotto, dovremo aspettare il 5 febbraio per vedere sperimentare Hamnet in sala con i nostri occhi. Data in ritardo rispetto all’annuncio delle candidature agli Oscar di cui il film beneficerà ampiamente, e che si porrà indubbiamente in conflitto con altre uscite importanti. Ma ecco che arriva la Festa del Cinema di Roma a fornirci un’alternativa, regalando al suo pubblico l’opportunità di scoprire in anticipo cosa si cela dietro questo dirompente fenomeno.
La scelta di affidare il progetto a Chloe Zhao
Hamnet è tratto dall’omonimo libro di Maggie O’Farrell, un recente caso editoriale che promette di consolidarsi nel prossimo futuro come un classico del panorama letterario contemporaneo. Chloe Zhao ha inizialmente rifiutato la proposta di dirigere questo adattamento, una scelta sofferta presa sulla base di una mancata familiarità con la figura di Shakespeare, ma soprattutto del limite che il suo non essere lei stessa madre poteva rappresentare per la comprensione del progetto.
Successivamente al suo primo incontro con Paul Mescal, al tempo non ancora parte del cast, la regista ha però avuto l’impressione che il suo interlocutore sarebbe stato perfetto per il ruolo del giovane Shakespeare, ed è tornata con la mente al progetto. Ha quindi approcciato il libro sotto consiglio dello stesso Mescal, rimanendo stregata dall’affinità spirituale percepita immediatamente con la prosa:
“La prosa di Maggie mi fa pensare che i nostri cuori battano allo stesso ritmo. Non mi sorprende di aver scoperto che il suo regista preferito sia Wong Kar Wai, perché dopotutto è anche il mio preferito. Inizialmente non ero sicura che avrei reso giustizia al vasto spettro di emozioni umane contenute nel libro, ma una volta che ho letto il libro e che ho saputo che i nostri cuori sarebbero stati in sintonia non ho avuto dubbi.”
Per quanto riguarda invece la scelta di far interpretare Agnes a Jessie Buckley non ci sono mai stati dubbi; Chloe Zhao ha subito compreso che il ruolo sarebbe dovuto andare a lei, e ci ha visto lungo trattandosi dell’aspetto più celebrato del film.
Hamnet – Nel Nome del Figlio: la trama del film
Hamnet immagina come la morte dell’omonimo figlio maschio di William Shakespeare e sua moglie Agnes, possa aver ispirato la creazione della tragedia più famosa del Bardo: l’Amleto. Fino a quel tragico momento, uno Shakespeare appena diciottenne, e ancora mai esplicitamente nominato, è diviso tra la passione incontenibile per la selvaggia Agnes e la ricerca di una strada che dia senso alla sua esistenza, e che sembra aver trovato viaggiando a Londra per scrivere commedie. Un profondo atto d’amore quello di Agnes che, successivamente al loro matrimonio, spinge lei stessa per la partenza del marito, intuendo il beneficio che potrebbe apportare alla sua indole creativa la fuga dalla desolazione del loro villaggio, e pur sapendo che la distanza la segnerà nel profondo durante i momenti di bisogno.
Per quanto lo scopo principale di Zhao e O’Farrell sia lavorare sulle conseguenze del lutto, risulta evidente fin da subito che il film è altrettanto interessato a costruire da zero il rapporto tra i destinatari di questo immenso dolore. Seguiamo Will e Agnes nelle profondità della foresta, uno spazio quasi liminale dove tutto avviene in segreto, e assistiamo allo sbocciare di un amore tanto impacciato quanto incandescente e puro. Viene tracciato un parallelismo di similitudine tra la potenza di emozioni agli antipodi; le gioie trascinanti dell’amore, dal primo bacio fino al diventare genitori, e l’annullamento totale per implosione che segue la dipartita della propria carne.
Jessie Buckley ha la statuetta già in tasca
Un progetto a cui non era scontato tenere testa sul piano fisico, che ha sicuramente richiesto a tutte le parti in causa di mettere giù le maschere e abbandonarsi completamente ai propri ruoli. Il risultato è la migliore interpretazione della carriera di Jessie Buckley, che risulta credibile come madre, come amante, come strega e come animale ferito, in un tripudio di manifestazioni sopra le righe che miracolosamente non sfociano mai nell’overacting. Per lei si grida già all’Oscar.
Il ruolo di Paul Mescal, nonostante per lui sia stata annunciata una campagna pubblicitaria nella categoria di supporto, è altrettanto centrale nel film, e tiene testa alla sua prova in Aftersun per cui era già stato menzionato dall’Academy. Degna di nota anche la prestazione di Emily Watson, come sempre una garanzia nei ruoli più austeri.
La figura di Shakespeare in Hamnet
La premessa è intrigante da un punto di vista storico. Non esistono infatti documenti che attestano con chiarezza come gli Shakespeare affrontarono la morte del figlio, ma è opinione comune di molti studiosi che l’Amleto fosse un omaggio diretto al figlio, banalmente anche solo poiché i nomi “Hamlet” e “Hamnet” erano termini usati in modo intercambiabile nell’Inghilterra del tempo (come prontamente spiegato dal testo che appare all’inizio del film). Il romanzo è quindi una rielaborazione fittizia intessuta attorno a un avvenimento certificato, verificatosi all’interno di uno specifico nucleo familiare.
Un aspetto interessante è che, a discapito del soggetto, non sono molti i rimandi diretti alla figura di Shakespeare, tanto che per buona parte del film Will potrebbe trattarsi di una persona qualunque. Quando Zhao decide di azzardare una citazione lo fa con discrezione; starà poi alla perspicacia dello spettatore cogliere (un esempio è il teatrino improvvisato da Hamnet e le due sorelle che ricorda le tre streghe di Macbeth). Sarà solo a tempo debito, in accordo con una delle scenografie più ispirate e impressionanti dell’anno, che anche chi ha approcciato la visione privo di contesto dovrà fare i conti con un climax inequivocabilmente targato Shakespeare; nel frattempo, il film ne guadagna in universalità.
La regia trascendentale di Chloe Zhao
Hamnet è un’operazione estremamente evocativa che trae beneficio dallo stile onirico, e all’occorrenza fluido, di una regista che infonde con estrema naturalezza la propria peculiare sensibilità in ogni scena. La fotografia accende di vita anche gli ambienti più modesti, ma è particolarmente splendida in presenza dei verdi rigogliosi, che pongono lo spettatore in uno stato di stupore, funzionale ai ritmi controllati della regia.
L’ultimo atto è radicato nella consapevolezza che l’arte ha il potere di assorbire le emozioni più complesse, incapaci di venire elaborate direttamente dall’involucro umano, e di rimandarle indietro sottoforma di catarsi. Per l’occasione è stato ricreato in scala un vero teatro del 1600 dove veniva messo in scena Shakespeare, ed è stato poi riempito con centinaia di comparse. Il risultato è un palcoscenico ricco di storia e passione, la cui sottile linea di confine con il pubblico è destinata ad infrangersi fragorosamente.
Se pensate di arrivare ai titoli di coda senza prima aver versato qualche lacrima, aspettate di sapere che la traccia musicale finale è niente meno che On the Nature of Daylight. Il colpo di grazia è servito, preparatevi ad uscirne emotivamente compromessi.