Festival di Roma
‘Tempi nuovi’ intervista con il regista François Caillat
Special Screening alla Festa del Cinema di Roma
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2 mesi agoon
Special Screening alla Festa del Cinema di Roma 2025, il film Tempi Nuovi, diretto da François Caillat e sceneggiato con Cristina Comencini, intreccia due fili narrativi: un’opera sul vecchio mondo operaio composta da Carlo Crivelli su un libretto di Valerio Magrelli e un documentario girato a Villerupt, in Lorena, una città mineraria dove emigrarono, nel XX° secolo, migliaia di lavoratori italiani.
Nel contesto della Festa del Cinema di Roma abbiamo fatto alcune domande al regista e sceneggiatore François Caillat.
François Caillat e il suo Tempi Nuovi
Com’è nata l’idea di questo film?
Sono nato e cresciuto a Villerupt, la piccola città della Lorena dove è ambientato il film. Lì ho trovato una storia appassionante da raccontare. Una storia molto rappresentativa della nostra epoca.
Sono fondamentalmente due storie e due generi che si fondono tra loro. A dircelo è anche la distesa di prato all’inizio con delle scie che si intrecciano tra loro come ad anticipare che quello che vedremo saranno due storie intrecciate attraverso tanti personaggi diversi. Sei d’accordo?
Sì, esattamente. Le due storie sono il passato e il presente che si intrecciano davanti ai nostri occhi. In superficie, oggi ci sono campi, strade, un paesaggio; e sottoterra, in profondità, le gallerie delle miniere che hanno reso ricca industrialmente questa regione per un secolo. Di questo passato sepolto non si vede più nulla, ma alcuni lo ricordano…
Una fiaba?
All’inizio sembra quasi come una fiaba con le immagini ferme e la voce fuoricampo che racconta. E con l’inserimento della parte musicale sembra effettivamente una favola. Era questo il tuo intento?
L’incontro tra le due epoche è guidato da una voce fuori campo, la mia, che introduce la storia. Mio padre era direttore della miniera e io torno qui, cinquant’anni dopo. Non è un reportage, ma un’indagine sulla memoria, un “ritorno al paese della mia infanzia”. Si può parlare di racconto, sono d’accordo con te. Ho cercato di realizzare un film più poetico che realistico.
È come se le immagini parlassero nel senso che spesso vediamo luoghi disabitati o oggetti che venivano usati in passato circondati dal silenzio. Quasi come se osservarli permettesse loro di essere dei personaggi a tutti gli effetti. È giusto dire che cercavate un coinvolgimento di tutto l’ambiente in modo che non solo le persone, ma anche gli oggetti raccontassero una storia?
Con il passare del tempo, gli uomini scompaiono, la memoria si affievolisce, presto non ci saranno più testimoni del passato, né personaggi che ne parlino. Ma rimangono i luoghi, gli oggetti che evocano un mondo scomparso. Basta guardarli, filmarli in silenzio, dedicare loro tempo in un lungo piano sequenza. Sono tracce che raccontano una storia. Ho già utilizzato spesso questo modo di evocare il passato nei miei altri film. In questo ho voluto aggiungere un altro modo di farlo: grazie alla musica.
La musica nel film di François Caillat
A proposito di musica, come mai hai deciso di inserire la parte musicale? Credi che possa essere un modo per attirare maggiormente il pubblico che si sente più coinvolto?
In questo film parlo del presente filmandolo davanti a noi. Oggi percorro la piccola città di Villerupt e i suoi abitanti conversano con me. Ma per parlare del passato, ho scelto di rappresentarlo musicalmente: sotto forma di un’opera. Filmo la vita di una famiglia di minatori a Villerupt negli anni ’50, una coppia e i loro due figli, e i loro ruoli sono cantati.
Ho immaginato le scene di quest’opera con Cristina Comencini e abbiamo chiesto al poeta Valerio Magrelli di scrivere i testi cantati. Successivamente, il compositore Carlo Crivelli ha scritto una colonna sonora originale.
I quattro personaggi sono italiani e cantano in italiano perché all’epoca Villerupt era popolata soprattutto da italiani che erano emigrati in tutta la regione dall’inizio del XX secolo per lavorare nelle miniere.
Interessante anche il fatto di mescolare più aspetti: la parte musicale e la parte non musicale, il presente e il passato, l’Italia e la Francia. Si può definire un film di opposti?
Sì, è un film di contrasti, ma anche di continuità. Si scoprono due epoche molto diverse: il 1950 è un mondo materiale, il lavoro manuale nelle miniere, la vita collettiva nei quartieri popolari che ci racconta una famiglia di operai; oggi è un mondo smaterializzato, virtuale, dove i giovani lavorano nell’informatica e nell’intelligenza artificiale. Tuttavia, a Villerupt, questi due mondi contrastanti sono in continuità: gli immigrati italiani sono rimasti a vivere qui, i discendenti dei minatori sono oggi informatici, banchieri, specialisti di IA. Esiste una continuità familiare, ma il mondo è completamente cambiato. I Tempi nuovi (il titolo del film) sono tempi antichi che sono stati tramandati di padre in figlio fino a noi.
L’importanza della memoria
È corretto dire che il film è una riflessione sulle conseguenze delle azioni? Nel senso che tutto quello che è successo nel passato ovviamente si ripercuote nel presente e in particolare nelle parole e nella vita dei successori e dei discendenti. La memoria diventa fondamentale e in qualche modo è rappresentata dalla parte musicale, sembra essere la più interessante e importante, ma poi si perde nel caos del presente.
Effettivamente la memoria è importante in questo film. È incarnata da questi cantanti che fanno rivivere davanti ai nostri occhi l’epoca degli anni ’50: è un ritorno al passato, un revival quasi magico (penso alla “fiaba” di cui parlavi prima). Ma non so se questo passato abbia avuto ripercussioni reali sui giovani di oggi. I discendenti dei minatori, intervistati nel film, si sentono ancora un po’ italiani, sanno che le loro famiglie sono arrivate un tempo dall’Umbria o dal Veneto, hanno sentito parlare del lavoro in miniera, ma per il resto… quel mondo passato sembra loro molto lontano! Per me, questo era l’interesse di un film del genere: mettere a confronto due mondi molto diversi, uno dei quali però deriva dall’altro.
François Caillat e Cristina Comencini
Com’è stato lavorare con Cristina Comencini alla sceneggiatura?
Molto bello. Sono stato felice di lavorare con lei a questo film. Prima di diventare la regista che conosciamo, era (e rimane) un’ottima sceneggiatrice. Mi ha aiutato a sintetizzare l’argomento e a dargli un senso narrativo, come in un film di finzione.
Quale pensi sia il responso del pubblico italiano?
Ottimo, spero! Perché è un film con un tema franco-italiano, cosa rara! È ambientato in una città franco-italiana, racconta un secolo di collaborazione industriale tra i due paesi (gli immigrati italiani, con il loro lavoro assiduo nelle miniere, hanno arricchito la Francia per un secolo), è un film parlato in francese e cantato in italiano… C’è davvero di che rallegrarsi e riunire gli spettatori dei nostri due paesi!