Giulia Michelini torna sul grande schermo con un ruolo inedito e sorprendente, confermando quella versatilità che l’ha resa, nel corso degli anni, una delle attrici più amate, riconoscibili e intense del panorama italiano. Dopo aver conquistato il pubblico televisivo con l’iconico personaggio di Rosy Abate, protagonista della serie Squadra antimafia e della fortunata serie spin-off a lei dedicata, Michelini ha saputo alternare ruoli forti e complessi anche al cinema e in altri contesti televisivi.
Dalle sue prime interpretazioni in Ricordati di medi Gabriele Muccino e la serie televisiva Distretto di Polizia, fino ai ruoli brillanti nella commedia, come l’indimenticabile Marika in Cado dalle nubi di Gennaro Nunziante accanto a Checco Zalone, o in Torno indietro e cambio vita di Carlo Vanzina, l’attrice romana ha dimostrato di saper attraversare con naturalezza registri molto diversi, passando dal dramma alla commedia, dal noir alla serialità televisiva.
RIP
Oggi si rimette in gioco con RIP, il nuovo film diretto da Alessandro D’Ambrosi e Santa De Santis, presentato in anteprima ad Alice nella Città, sezione autonoma e parallela della Festa del Cinema di Roma. Un’opera che si muove tra il grottesco e l’emotivo, tra l’ironia dissacrante e la riflessione più intima, offrendo a Michelini un ruolo del tutto fuori dagli schemi: quello di Adelaide, un fantasma enigmatico, capace di mettere in luce nuove sfumature del suo talento.
Abbiamo parlato con l’attrice per capire come si è preparata al personaggio che interpreta e per sapere qualche curiosità in più su di lei.
Interpretare un personaggio all’interno di una ghost story richiede un approccio particolare: cosa ti ha colpito di più e quali sono state le sfide più interessanti nel lavorare a questo tipo di racconto?
Sicuramente tutto l’aspetto del fantasy, del grottesco per certi versi se vogliamo dire, del dissacrante perché è anche dissacrante questo film, è molto ironico. C’erano tanti aspetti che mi hanno intrigato di questo film, tutta la componente che si nascondeva dietro agli effetti speciali mi ha intrigato tantissimo.
Tu in RIP sei Adelaide. Come è stato interpretare un ruolo così particolare come un fantasma? Come ti sei preparata?
In realtà è stato tutto un work in progress con i due registi. Abbiamo lavorato molto in fase preparatoria, abbiamo cercato di creare un personaggio anche molto statico, che non cedesse all’emozione se non in rarissime circostanze. Inoltre, la regista ci ha raccontato che il personaggio era ispirato – almeno in parte – a sua madre, e questo ha aggiunto una componente emotiva profonda, quasi un transfert affettivo che ha influenzato il mio modo di portarlo in scena.
Nel film si parla di fantasmi e presenze che restano legate al passato. Se anche tu potessi avere la possibilità di parlare con un “fantasma” della tua vita, chi sceglieresti di incontrare e cosa ti piacerebbe dirgli o chiedergli?
È una domanda interessante, da una parte ti direi qualche persona cara della mia famiglia e dall’altra invece ti direi qualche personaggio storico al quale poter fare qualche domanda, su come è andata veramente una cosa oppure approfondire altre cose.
Quando ti prepari per affrontare un nuovo personaggio, qual è il tuo processo creativo? Come ti approcci alla sceneggiatura, alla costruzione del ruolo e quali sono i passaggi fondamentali che segui per entrare completamente nella parte?
La prima cosa che faccio è lavorare sul testo. Cerco di entrarci dentro, di capirlo il più possibile, e se sento che qualcosa non mi torna, lo affronto direttamente sul set, lavorando d’istinto. Non ho un metodo rigido: mi affido molto all’impronta.
E invece c’è un personaggio interpretato in passato che ti è rimasto particolarmente nel cuore?
Chiaramente ci sono dei personaggi che ti segnano più di altri. Quando lavori su una serie, hai il tempo di costruire un personaggio, di viverlo a lungo, e inevitabilmente ti ci affezioni. È un rapporto che cresce, si evolve. Ma questo non significa che i ruoli più brevi siano meno intensi: a volte anche un personaggio che attraversi solo per poco tempo può aprirti porte nuove, emotive o artistiche.
Infine ti chiedo, c’è un film che rivedresti all’infinito? Uno che ha trasformato il tuo modo di vedere le cose?
Ce ne sono tanti che mi hanno colpito e stimolato nel tempo, ma più che un titolo preciso, credo che i film si leghino molto ai momenti della vita in cui li guardi. Ci sono film che vedi da adolescente e che ti restano dentro per sempre. Altri film invece li vedi più avanti, in età diverse, e solo allora riesci davvero a capirli, a sentirli fino in fondo. Credo che il legame con un film sia molto personale e dipenda da come stai tu in quel preciso periodo.