Giornate del Cinema Muto | Pordenone Silent Film Festival
Jay Weissberg ci presenta le Giornate del Cinema Muto
Il direttore delle Giornate del Cinema Muto di Pordenone ci descrive la 44a edizione di un Festival unico nel suo genere, raccontandoci in maniera appassionata l’importanza del cinema muto
Published
1 giorno agoon
Qual è la specificità di un Festival come le Giornate del Cinema Muto?
È il più grande e più longevo Festival sul cinema muto. Questo ci mette in una posizione molto fortunata, perché tutti gli archivi ci contattano quando c’è una nuova scoperta, un nuovo restauro. Le Giornate del Cinema Muto è anche un Festival che attira, da tutto il mondo, archivisti, docenti, saggisti, in particolare specializzati su quel periodo della storia del cinema.
Quanto è complicato organizzare un Festival come le Giornate del Cinema Muto?
Difficilissimo. Quest’anno saranno proiettati più di 200 film, con una durata variabile dai 30 secondi alle due ore e mezzo, provenienti da archivi sparsi in tutto il mondo e c’è sempre un ritardo, un problema. Ti faccio un esempio partendo da una cosa semplice, come la durata di un film: nel periodo del muto, la velocità dei fotogrammi era sempre diversa, rispetto a oggi che è di 24 fotogrammi al secondo. All’epoca variava dai 16 ai 22, fino anche a 24 fps, quindi dobbiamo controllare ogni film e, tante volte, cambiarne la velocità, perché ci è stato mandato in modo sbagliato. In più, dobbiamo fare la traduzione delle didascalie in inglese e italiano. Poi c’è, ovviamente, la difficoltà di trovare copie dei film in buono stato. Il lavoro negli archivi è molto complesso.
Quali sono i temi, gli omaggi, i film, gli autori che caratterizzeranno questa 44a edizione delle Giornate del Cinema Muto?
Quest’anno la rassegna più grande si chiama Six Degrees of Charlie, con l’idea di esplorare la fama di Charlie Chaplin, che si trasformò anche in una vera e propria Chaplin mania. Mostreremo non solo i film in cui è coinvolto come autore, ma anche l’influenza che ha avuto su altri registi, quelli che lo hanno imitato o evocato, persino trasformandolo in un cartone animato. Inoltre, grazie alla disponibilità della famiglia Chaplin e del Chaplin Office, abbiamo incredibili home movie di Charlie Chaplin fino agli anni Cinquanta, anche a colori. Cose come l’incontro tra lui e Winston Churchill nel 1929 o lui e la moglie a Venezia, immagini molto rare, bellissime per dare un’idea del regista come persona. Poi c’è un’ampia rassegna su un’attrice italiana abbastanza dimenticata, Italia Almirante Manzini, famosa per il suo ruolo in Cabiria, in cui è Sofonisba, ma importante non solo per quel film. Solitamente si ha l’idea che l’industria del cinema italiano, dopo la Prima Guerra Mondiale, non abbia prodotto granché, ma, come sempre nella storia, dobbiamo riesaminare queste idee. Italia Almirante Manzini ha, infatti, lavorato in grandi produzioni, sia negli anni Dieci che negli anni Venti. È stata non solo una diva, come Lyda Borelli o Francesca Bertini, ma anche un’attrice meravigliosa. Sarà, quindi, una bellissima scoperta. In Italia, il cognome Almirante è molto connotato politicamente, ma per me è una cosa importante dire che non siamo sempre collegati con la nostra famiglia.
Scoperte e riscoperte, dunque, alla 44a edizione delle Giornate del Cinema Muto.
Sì, noi non consideriamo solo il cinema dei riconosciuti maestri. È un’idea propria della critica, a partire dagli anni ‘60/’70, che unicamente i grandi registi siano veri artisti e tutto il resto mediocri mestieranti. Non esistono solo John Ford, Fritz Lang o Ernst Lubitsch, ma ci sono tanti capolavori di registi sconosciuti. Per noi è importante proiettare i film degli autori più noti, ma pure scoprirne altri, rimasti nell’ombra, dare un quadro più complessivo e visibilità a registi anche totalmente dimenticati.
Shoulder Arms, Charlie Chaplin
Quale specifica importanza riveste il periodo del muto nella storia del cinema?
Quando è cominciato il periodo del sonoro, c’era l’idea che tutti i film muti fossero una cosa primitiva, arcaica. Da quel momento, partì una generale sottovalutazione del cinema muto, nonostante la sua bellezza visiva. Si dimenticò come fosse stato un periodo strepitoso, anche d’avanguardia. Un momento cinematografico pieno di creatività e arte. Secondo me, dovremmo smettere di pensare a una specie di muro tra cinema mutuo e sonoro, perché il cinema è fluido, e se qualcuno ha un’idea della bellezza artistica del cinema muto può capire meglio il cinema di oggi.
Come nasce la sua personale passione per il cinema muto?
Ho visto il mio primo film muto quando avevo dieci anni. C’era un programma sulla televisione pubblica negli Stati Uniti, con Lillian Gish moderatrice per dieci puntate, sui classici del cinema muto. Dopo averne visto uno, ne sono rimasto incantato. Avevo comprato un libro, A Pictorial History of the Silent Screen, di Daniel Blum, pieno di foto del cinema muto, anno per anno: questa è stata a lungo la mia lettura prima di andare a letto. Ho studiato queste pagine per anni. I visi di Rodolfo Valentino o Gloria Swanson erano dentro la mia testa. È cominciato tutto così, da bambino.
Il cinema, nel periodo del muto, era un’arte molto popolare. Cosa si è perso o guadagnato, in questo senso, nei decenni successivi fino a oggi?
Sin dall’inizio, anche nel muto, c’era sempre un angolo di cinema colto, insieme a uno più popolare. Per me è una cosa essenziale che esistano entrambi questi lati del cinema, non solo in quel periodo, ma anche ora. Già negli anni Dieci, c’erano riviste specializzate sul cinema come fenomeno artistico. Anche le avanguardie hanno utilizzato questa forma d’arte.
Our Hospitality, Buster Keaton
Alle Giornate del Cinema Muto ogni film ha il suo accompagnamento musicale dal vivo. Quanta importanza date a questo aspetto, quanto è fondamentale nella visione del film?
Senza i musicisti, questo Festival non si potrebbe fare; siamo fortunati ad averne tra i più importanti nel mondo, in questo settore, provenienti da Italia, Inghilterra, Germania, Messico, Stati Uniti. Nella mia vita ho sentito tanti accompagnamenti orrendi, del tutto estranei ai film. Ci vuole la musica giusta per ogni pellicola. Quando dico musica giusta, non intendo che dovrebbe essere esattamente come quella dell’epoca. Anche questo, per me, sarebbe uno sbaglio. È importante dare freschezza al film, ma rispettando i suoi ritmi, il suo montaggio. Quando c’è un musicista che ha questa sensibilità, il film sembra una cosa nuova, nonostante sia stato creato un secolo fa. Ogni anno facciamo delle masterclass in cui invitiamo dei musicisti ad approfondire il loro mestiere di accompagnamento per il cinema muto. Lezioni aperte a tutto il pubblico.
La stragrande maggioranza delle proiezioni di questa 44a edizione delle Giornate del Cinema Muto sarà in digitale. Si perde o si guadagna qualcosa rispetto alla pellicola, in cui tutti quei film sono stati, ovviamente, girati?
Sono molto triste che in questo periodo la maggior parte delle persone non possa vedere la differenza tra una proiezione in digitale e una in pellicola. Se entro in un negozio che vende televisori, vedo un muro di apparecchi con un contrasto altissimo e colori molto accesi. La maggior parte delle persone, a casa, ha una televisione così. In questa situazione, l’idea di essere sensibili alle differenze tra una proiezione in 35mm e una in digitale è improbabile. Ci è stato impossibile, per ora, fare un Festival solo in pellicola. La maggior parte dei restauri sono in digitale e tanti archivi non hanno i soldi per tornare alla pellicola 35mm. Senza dcp non sarebbe possibile fare le Giornate del Cinema Muto. Io adoro il 35mm, perché la pellicola è viva, c’è contrasto, movimento, c’è un’altra sensibilità. Nonostante ogni anno i restauri in digitale si avvicinino sempre più al 35mm, non è la stessa cosa. Purtroppo, però, siamo in un mondo capitalista, in cui è sempre più difficile avere soldi dai governi per fare queste cose.
Cosa crede desterà maggior interesse e sorpresa nel pubblico in questa 44a edizione delle Giornate del Cinema Muto?
La cosa che a me dà più soddisfazione è quando la gente sente che il legame tra passato e presente è sempre forte. Senza capire il passato non è possibile comprendere dove siamo ora. Nel nostro programma di quest’anno, per la prima volta, ho messo una sezione di cinema ucraino degli anni Venti; c’è un film sulla Palestina durante la Prima Guerra Mondiale, in cui si vede il bombardamento di Gaza del 1917. Ho fatto queste cose per un motivo, per rendere più attuale il cinema muto e spingere i cervelli delle persone a pensare di più. E poi, alla fine, sì, c’è tutta la bellezza del cinema.
The Battle of Arras
Allora davvero non resta che raggiungere Pordenone dal 4 all’11 ottobre.
Sì. Avremo comunque anche un programma in streaming. Quindi sarà possibile, ogni giorno, per quelli che non potranno raggiungere Pordenone, vedere uno o due film su mymovies.it. Alle Giornate del Cinema Muto avremo, tra gli ospiti, la nipote di Max Fleischer, il padre di Betty Boop. Max Fleischer che, a sua volta, era il papà del regista Richard Fleischer.
A proposito di ospiti, facendo un Festival così specifico, su un cinema di tanti anni fa, registi e attori da invitare non ce ne saranno più.
Anche se i giornali amano gli ospiti, e spesso vengono solo per quelli, tanto che per molti Festival i tappeti rossi sono qualcosa di cruciale, noi ci concentriamo solo sui bei film.
Palestine A Revised Narrative