Sentiero Film Factory

‘Tamago’ dei fratelli Miyakawa: oltre le aspettative

Un approccio inusuale per temi attuali.

Published

on

Diretto dai fratelli Peter, Orso e Benjamin Miyakawa, Tamago è un cortometraggio del 2025 in proiezione al Sentiero Film Festival. Proiettato per la prima volta al Milano Film Fest 2025, questo progetto inusuale ha svelato delle nuove e promettenti menti creative nel panorama italiano.

Tamago: di cosa parla

La storia si svolge a Tokyo e segue due uomini sulla trentina, Kazu (Kazuma Hotta) e Tatsu (Rion Takahashi), colleghi e amici, che dopo una serata passata a bere si confidano.

Tatsu ammette di essere ancora vergine, mentre Kazu rivela qualcosa di ancora più incredibile: ogni volta che mangia un sandwich all’uovo (da cui il titolo, tamago, che significa “uovo” in giapponese), si trasforma fisicamente in una donna (Akane Hotta). Incuriosito e per nulla convinto, Tatsu lo sfida a dimostrarlo. Da qui parte una situazione grottesca che mette in moto un gioco di ruoli inaspettato.

Solitudine, ruoli di genere e identità nelle grandi città

Ciò che colpisce di Tamago è la sua capacità di trattare temi profondi con un tono leggero ma non banale, combinando l’assurdo che contraddistingue il cinema nipponico. La trasformazione di Kazu non è solo un espediente comico, ma diventa un mezzo per riflettere su quanto possano cambiare effettivamente i nostri approcci e le nostre aspettative in base ai ruoli che la società impone. Il fatto che questa metamorfosi sia innescata da qualcosa di tanto semplice quanto un sandwich all’uovo aggiunge un senso di apparentemente insensato che fa sorridere, ma allo stesso tempo suggerisce quanto siano fragili i confini tra ciò che è considerato “normale” e ciò che non lo è.

Nel momento in cui Kazu cambia sesso, cambia anche il modo in cui si muove nel mondo, e il rapporto che Tatsu ha con lui. Tatsu inizia a vederlo sotto una luce diversa, disegnando una linea sottile fra sentimenti veri o dettati dalla propria solitudine e verginità. Il film riesce così, in pochi minuti, a lanciare una critica intelligente e ironica alle aspettative sociali, alla mascolinità, alla sessualità e alla percezione pubblica di chi siamo.

Ambientato in una Tokyo che è più sfondo che protagonista, il corto trasmette una sensazione sottile di solitudine. I protagonisti, come tanti, si nascondono dietro una maschera di normalità. Solo in un momento di intimità forzata, reso possibile dall’alcol e dalla notte, si permettono di essere vulnerabili. È una metafora forse banale in apparenza, ma totalmente logica data dal fatto che, fra la frenesia delle metropoli, si diventa invisibili, oppure ci si adatta per non emergere troppo.

Un gioco di ruolo tra comico e malinconico

L’elemento fantastico è trattato con naturalezza, come fosse una regola del mondo. Questo approccio dà al film un tono da “gioco di ruolo”, dove i personaggi si muovono tra i limiti del reale e del possibile. In questo senso, Tamago sembra dirci che anche noi, ogni giorno, recitiamo un ruolo, ci travestiamo, adattiamo il nostro comportamento per piacere, per evitare conflitti o per sopravvivere nel nostro contesto.

L’ironia, mai cattiva, accompagna lo spettatore in un viaggio che parte con una risata ma lascia qualcosa di più profondo alla fine. Si ride per la situazione paradossale, ma anche per l’amaro riconoscersi in quei compromessi che facciamo tutti. Il tutto giocando con il simbolismo celato dall’uovo, che nella cultura giapponese può indicare intercambiabilità e nuovi inizi.

Tamago è un corto sorprendente, che usa il surreale per parlare del reale. È comico, ma intelligente. Breve, ma denso. E soprattutto riesce a trasmettere, con garbo, una critica affettuosa alla nostra società. Alla fine ci si chiede: quanto di noi è vero, e quanto è adattamento? E perché dobbiamo aspettare di essere ubriachi o nascosti per mostrarlo?

Un piccolo film che lascia una traccia, con delicatezza e un sorriso.

Exit mobile version