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Spine sotto i fiori: ‘I Roses’ e l’arte della distruzione coniugale
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3 giorni agoon
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Greta WiethEsistono matrimoni cinematografici, e poi ci sono arene gladiatorie camuffate da matrimoni. I Roses (2025), diretto con feroce precisione da Jay Roach, si colloca saldamente in quest’ultima categoria. Apparentemente una commedia dark sul disfacimento di una coppia, mette in scena l’istituzione del matrimonio come teatro e campo di battaglia. La storia segue Theo (Benedict Cumberbatch), un architetto pomposo ma fragile, e Ivy (Olivia Colman), la sua moglie chef dalla lingua tagliente, la cui intelligenza e furia tagliano più a fondo di qualsiasi coltello da cucina.
Ciò che inizia come uno scambio di battute pungenti si trasforma in una guerra esistenziale, punteggiata da cene, battute passivo-aggressive e l’occasionale coltello da cucina in volo. Se vi sembra una versione estesa e moderna di Who’s Afraid Of Virginia Woolf? di Nichols, non è un caso. I Roses prospera su questa linea di crudeltà coniugale, modernizzando la sua carneficina e rendendo al contempo un omaggio sfacciato al duetto vulcanico di Burton e Taylor.
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Cumberbatch e Colman: un duello in seta e acciaio
Il cuore pulsante del film risiede nelle interpretazioni di Cumberbatch e Colman. Insieme, non si limitano a recitare: duellano. La capacità di Colman di alternare risate isteriche e gelido disprezzo è una prova di volubilità controllata. Di fronte a lei, Cumberbatch brandisce la sua dizione tagliente e la sua fisicità spigolosa come armi affilate da decenni di repressione. La loro alchimia è inebriante non perché romantica, ma perché tossica: un attrito vulcanico rivestito di seta e acciaio.
Non si tratta dell’intimità melliflua dei matrimoni sullo schermo; è l’attrazione irresistibile di due gladiatori che non possono vivere senza il suono dei loro stessi combattimenti. Nei loro scambi, aleggia il fantasma di Burton e Taylor, resuscitato in un linguaggio moderno: meno whisky e fumo, più sarcasmo e un linguaggio terapeutico in continua evoluzione.
La commedia della crudeltà
Se Cumberbatch e Colman forniscono il veleno, Kate McKinnon e Andy Samberg forniscono lo zucchero, seppur condito con arsenico. Come amici di vecchia data della coppia, fungono sia da coro che da giullare, spezzando la tensione con quel tipo di tempismo che ci ricorda perché i comici sono spesso i migliori tragediografi. McKinnon, in particolare, trasforma l’assurdo in un’arma, strappando risate anche nei silenzi più cupi.
Eppure, qui si cela un paradosso: la loro brillantezza a volte destabilizza l’equilibrio tonale del film. Quando il matrimonio al suo interno si fa troppo selvaggio, McKinnon e Samberg rubano l’attenzione con la loro irriverenza, riducendo il conflitto centrale a mero sfondo. Rubano la scena così facilmente che viene da chiedersi se Roach non temesse di lasciare il suo pubblico alla deriva nella miseria coniugale per troppo tempo.
Quando le battute mancano il bersaglio
Non tutte le battute vanno a segno. Alcune si protraggono troppo a lungo, le battute tornano indietro senza dare il massimo e interi passaggi di dialogo soffrono del peso della loro stessa arguzia. La sceneggiatura oscilla tra l’arguzia tagliente e l’eccesso di indulgenza, come se fosse incerta se fidarsi del veleno dei suoi protagonisti o delle battute finali del cast di contorno.
Il risultato è una commedia innegabilmente divertente, ma non sempre tagliente come potrebbe essere. Laddove Nichols ha scavato fino all’osso, I Roses a volte scivola sulla superficie, prolungando scambi che avrebbero potuto colpire più duramente e più rapidamente.
Il problema dell’equilibrio
Lo squilibrio si estende oltre il tono. Alcuni personaggi vengono sfruttati eccessivamente, con battute finali che diventano ripetitive, mentre altri svaniscono nel nulla prima che la loro presenza venga percepita.
L’insieme sembra spesso una porta girevole di momenti comici, che eclissa l’intimità più sinistra del duello tra Cumberbatch e Colman. L’effetto è una diluizione del focus: il film vuole essere sia una commedia corale che un dramma da camera, ma spesso fatica a lasciar trasparire la brutalità più silenziosa.
Il matrimonio come campo di battaglia preferito del cinema
Ciò che salva I Roses è il suo posto all’interno di una lunga tradizione di sanguinosi sport cinematografici mascherati da matrimonio. Da Scene da un matrimonio di Bergman a Virginia Woolf di Nichols, il genere prospera esponendo le crepe tra affetto e annientamento. Roach, tuttavia, sceglie di non approfondire questa tradizione, ma di rifletterla attraverso le ansie del presente.
Ruoli di genere, patriarcato, wokeness performativo: tutto viene ridicolizzato, messo alla berlina e poi frettolosamente abbandonato. La satira è ampia piuttosto che approfondita, spesso barattando l’universalità con l’eccentricità. Il film parla meno della brutalità senza tempo dell’intimità che delle irritazioni della vita moderna. Il campo di battaglia rimane lo stesso; le armi sono semplicemente aggiornate.
Rose con più spine che petali
In definitiva, I Roses riesce a essere un film di intrattenimento ad alto voltaggio piuttosto che un’autopsia coniugale rivoluzionaria. Cumberbatch e Colman infiammano lo schermo con una chimica al tempo stesso magnetica e corrosiva, mentre McKinnon e Samberg elevano la commedia a un’assurdità gioiosa. Eppure il film vacilla nel suo eccessivo affidamento allo spettacolo, nella sua riluttanza a colpire in profondità come i suoi predecessori.
Il cinema ha sempre amato spogliare il matrimonio fino ai suoi nervi più scoperti, per metterlo in scena come un teatro di guerra. In questo ambito, I Roses non è né la lama più affilata né la più smussata: è un bouquet con abbastanza spine da far sanguinare, ma non abbastanza da lasciare cicatrici.