Biennale del Cinema di Venezia

‘Frankenstein’ la versione di Guillermo Del Toro

In concorso l’opera con protagonisti Oscar Isaac, Jacob Elordi e Mia Goth

Published

on

A Venezia 82 era tanto atteso, sia per il nome del regista, sia perché si tratta dell’ennesima trasposizione del celebre romanzo di Mary Shelley, e il Frankenstein di Guillermo Del Toro è riuscito nel complesso a soddisfare le aspettative.

Il film, distribuito da Netflix, ha come protagonisti Oscar Isaac, Jacob Elordi e Mia Goth.

La sinossi di Frankenstein di Del Toro

Un adattamento del classico racconto di Mary Shelley su Victor Frankenstein, uno scienziato brillante ma egocentrico che dà vita a una creatura, in un mostruoso esperimento che alla fine porta alla rovina sia del creatore che della sua tragica creazione. (Fonte: La Biennale)

La recensione di Frankenstein di Del Toro

Approcciarsi, con un adattamento per lo schermo, all’opera ancora eterna nata dalla penna della giovanissima Shelley è tutt’altro che semplice. Basti pensare che sono decine e decine le trasposizioni realizzate per il cinema derivanti dal romanzo gotico in questione, fin dagli anni ’30, ma nessuna di queste è mai riuscita a essere completamente fedele al Moderno Prometeo. Nel 2025, in occasione della 82esima edizione della mostra del cinema di Venezia, ci prova Guillermo Del Toro con quella che, sulla carta, è la versione più vicina possibile alla penna dell’autrice.

Con echi e richiami alle opere di James Whale che lo hanno fatto innamorare, il regista messicano porta sullo schermo la sua versione di Frankenstein in forma di racconto nel racconto. Dividendo l’opera in due parti dà modo al pubblico di leggere due versioni della stessa storia per poterne trarre una conclusione oggettiva.

L’essenza gotica

Inevitabile il tocco di Del Toro a una storia che sembra essere stata scritta per essere diretta proprio da lui. Atmosfere cupe e gotiche, tipiche del romanzo, ma anche degli altri titoli dell’autore, diventano coprotagonisti in un film che non ha, però, bisogno di spostarsi troppo mantenendo la centralità sulla storia e soprattutto sui personaggi. Se il laboratorio di Victor Frankenstein (un Oscar Isaac decisamente impazzito seppur senza aiutante, a metà strada tra il primo dottore e quello delle trasposizioni ben più macabre della Hammer con Peter Cushing) può richiamare quello iconico del dottore interpretato da Colin Clive nel film del 1931, così come il momento stesso della creazione, il paese vicino richiama, invece, lo spirito gotico che aleggia in tutti i film del regista.

Tanto poetico e scenografico quanto i personaggi stessi con, per esempio, una Mia Goth che si mescola perfettamente agli ambienti circostanti. Divenuta ormai icona del genere horror, soprattutto per le nuove generazioni, l’attrice, nel film interprete di Elizabeth, la promessa sposa del fratello di Victor, sembra fondersi con la scena.

Critica sociale

Come ogni tiranno si finge innocente.

Se già il romanzo, così come le prime trasposizioni cinematografiche, aveva posto l’accento sulla mostruosità dell’uno e dell’altro, invitando a riflettere su chi fosse veramente il mostro, il Frankenstein di Del Toro sembra darci più volte la soluzione. La sua trasposizione è l’essenza dell’andare oltre (un po’ come tutti i suoi film, soprattutto gli ultimi, La forma dell’acqua, tanto per citarne uno). E se, come dice lui, i mostri sono i custodi del mistero, qui siamo di fronte a un grande mistero, ma soprattutto a un grande dilemma.

E proprio sfruttando questa consapevolezza è chiaro l’intento di Del Toro di mettere a tacere sofferenze e ingiustizie che si perpetuano nel mondo. Ne è una chiara dimostrazione l’atteggiamento della sua creatura e delle decisioni che prende che, anche se derivano dal romanzo, sembrano comunque strizzare l’occhio a una rinuncia alle armi e alla violenza in generale. Si parla di una violenza inevitabile perché derivante dall’incomprensione.

Nessuno può avere la meglio sulla morte

Una Creatura, quella di Del Toro, molto più umana e umanizzata rispetto a quelle viste nelle precedenti trasposizioni (deformi, cattive, ignoranti…). Tanto che si arriva addirittura a distinguere senza troppa difficoltà il volto, seppur trasfigurato, del giovane interprete, Jacob Elordi.

Poi, anche la conoscenza e la lettura di varie opere, come per esempio Il paradiso perduto di Milton, che la Creatura acquisisce insieme all’anziano cieco, è messa in pratica per sconfiggere quello che alla fine risulta essere il male superiore. Una conoscenza e un’umanità che, oltre a non essere state spesso associate alla creatura, sono anche elementi che lo rendono più empatico nei confronti del pubblico.

E proprio per questo pubblico forse la storia tende a essere più enfatizzata e romanticizzata, basti pensare a chiari riferimenti ai grandi classici, uno su tutti La bella e la bestia.

Sono Veronica e qui puoi trovare altri miei articoli

Exit mobile version