Settimana internazionale della Critica
‘Waking Hours’, l’oscurità che divora il mondo
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2 giorni agoon
Il buio e il silenzio padroneggiano nell’inquadratura. A un certo punto, cominciano a emergere delle luci e dei rumori indistinti che, lentamente, prendono forma. Ma l’oscurità continua a persistere, non solo partecipe, ma anche protagonista. É questo l’inizio di Waking Hours, potente e suggestivo documentario diretto dal duo italiano Federico Cammarata e Filippo Foscarini.
Il film è in concorso alla 40esima edizione della Settimana Internazionale della Critica, storica sezione parallela della Mostra del cinema di Venezia.
Ore di veglia nella notte più buia e lunga
Waking Hours segue le attività notturne di un gruppo di trafficanti di migranti ai confini tra la Serbia, la Croazia e l’Ungheria. Tra le foreste dei Balcani, questi trafficanti ricevono costantemente nuovi gruppi di migranti e cercano di organizzare il loro viaggio per introdursi all’interno dell’area Schengen. In mezzo a questo paesaggio, i trafficanti, a loro volta migranti, discutono del presente, organizzano il futuro e rimembrano il passato, riflettendo sulla condizione stessa del migrante.
Uno sguardo fermo e silenzioso in mezzo al buio
Una delle cose che colpisce di più di questo splendido documentario è la regia di Federico Cammarata e Filippo Foscarini. Lo sguardo del duo di videomaker è quasi voyeuristico, uno sguardo fermo e silenzioso che spia le vite dei trafficanti in mezzo al buio della notte. I due registi non intervengono mai, la loro presenza è minima e impercettibile come può esserla quella di Frederick Wiseman, cineasta pioniere per un tipo di documentario di stampo minimalista e per questo, a suo dire, maggiormente vicino alla realtà.
L’impressione che si ha guardando Waking Hours è proprio quella di osservare veramente la realtà – forse una realtà che, per sua natura, non dovrebbe nemmeno essere visibile al pubblico. Complici, tra le altre cose, le riprese gestite dal duo di registi. La macchina da presa è per lo più posta immobile su un treppiede stabile, e si muove solo attraverso alcune lente panoramiche. Eppure, data la suggestiva atmosfera notturna che si viene a creare, si ha quasi l’impressione di vedere qualcosa che appartiene a un ambiente più onirico che reale.
L’oscurità che sta divorando il mondo
Il paesaggio mostrato da Waking Hours è quello di un mondo caduto nella più profonda oscurità. Tanto effettiva quanto metaforica. Effettiva perché nell’ambiente notturno delle foreste dei Balcani, la visione non solo è limitata ma addirittura annullata. Il buio ha divorato tutto quanto. L’unica possibilità di vedere qualcosa in mezzo a questa oscurità ci viene concessa da alcuni fievoli spiragli di luce che ci permettono di osservare le attività dei trafficanti. Eppure, non sembra di assistere a sprazzi di realtà che riemergono dal buio notturno grazie all’ausilio di luci artificiali. Sembra quasi, piuttosto, che questa realtà si crei dal nulla, dal buio stesso, proprio dinnanzi ai nostri occhi.
Si potrebbero creare alcuni parallelismi tra questo documentario e il film di Jonathan Glazer del 2023, La zona d’interesse ; c’è una scena in particolare, sul finale del film di Cammarata e Foscarini, che ricorda alcune sequenze della pellicola di Glazer. Entrambi i film lavorano per sottrazione e annullamento. Quello di Glazer si limitava a mostrare alcuni luoghi (uno in particolare), circuiti chiusi in cui si rimanda a un esterno ‘invisibile’ e ai suoi orrori attraverso la dimensione audio. Un lavoro perfetto dal puto di vista del sound editing. Al contrario, in Waking Hours si punta fortemente sulla regia e sulla fotografia, e sul loro potere di annullare la realtà, sempre esterna e ‘invisibile’, dal punto di vista della dimensione visiva.
Una riflessione sulla condizione del migrante
Ma quest’oscurità che divora il mondo assume anche una valenza metaforica. Si può leggerla come qualsiasi condizione che costringe l’essere umano a diventare migrante, ad abbandonare la propria casa e a cercare benessere da qualche altra parte. Ne consegue dunque che quest’oscurità siano anche tutte quelle politiche anti-migratorie adottate da ideologie reazionarie e conservatrici e che impediscono a queste persone di trovare un benessere che sono stati costretti a cercare altrove, obbligandoli quindi a mettersi in contatto coi trafficanti. I migranti si riducono ad essere delle ombre, figure inesistenti che si muovono nel buio, in mezzo a territori di confine, senza lasciare traccia.
Il fenomeno migratorio è un fenomeno complesso e stratificato. Ma Federico Cammarata e Filippo Foscarini, stando a quanto dichiarato da loro stessi, hanno esplorato solo la punta di questo gigantesco iceberg.
Waking Hours non è un documentario informativo. È più un documentario poetico che pone al centro l’essere umano, in quanto migrante, e la sua esperienza. Facendo ciò, il film umanizza anche e soprattutto le figure dei trafficanti. Anch’essi sono esseri umani. Anch’essi sono migranti. E la cosa più interessante di questi trafficanti è che essi, per la maggior parte, siano afghani, in fuga dal regime dei talebani. In un clima quasi conviviale, il film documenta soprattutto le loro discussioni mentre riflettono sul futuro ma ripensano al passato, a quella terra che hanno dovuto abbandonare e a chi è rimasto lì per tentare di sopravvivere, nonostante le avversità, nella loro patria.
Waking Hours, un giudizio finale
Waking Hours è una visione potente e, oggi più che mai, necessaria. Una visione che può risultare ostica per i suoi ritmi particolarmente dilatati e per un quasi totale annullamento di ciò che potrebbe risultare riconoscibile. Ma è proprio questa particolarità che rende il documentario di Federico Cammarata e Filippo Foscarini un’esperienza cinematografica unica. Ponendoci di fronte alla più totale oscurità, il film ci costringe a riflettere sull’essenza stessa di quest’oscurità e a ricercare una luce, un significato, in questo mondo divorato dal buio.