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‘Il presagio’: cult del filone demoniaco

Tutti gli ingredienti, allora, per un grande successo di pubblico

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Il presagio, diretto nel 1976 da Richard Donner, merita un posto d’ onore tra gli horror di culto. Non tanto per le sue qualità, essendo sostanzialmente un rozzo film del terrore (del filone demoniaco), quanto per la aver condensato bene quegli ingredienti che all’epoca, sulla scia de L’esorcista di William Friedkin, riscuotevano un grosso successo di pubblico.

The Omen, questo il titolo originale, fu uno dei maggiori successi al botteghino del 1976. L’esito inaspettato (ma chiaramente desiderato dai produttori) diede la stura a tre sequel: nel 1978 La maledizione di Damien di Don Taylor, nel 1981 Conflitto finale di Graham Baker e nel 1991 il film Tv Omen IV – Presagio infernale di Jorge Montesi e Dominique Othenin-Girard.

A questo exploit filmico si sono poi aggiunti diversi documentari sulla realizzazione del film e  una serie di romanzi, di cui il primo scritto dallo sceneggiatore David Seltzer.

Infine, in tempi recenti, come già capitato a molte altre pellicole, il franchise ha avuto un remake e un prequel: nel 2006 Omen – Il presagio di John Moore e nel 2024 Omen – L’origine del presagio di Arkasha Stevenson. In mezzo (2016) un serial televisivo, prequel dell’originale, dal titolo Damien.

Il presagio: la fine del mondo, la fortuna di Richard Donner

La trama di Omen, incentrata sul bambino che è l’anticristo e che si fa strada nella gerarchia del potere politico, è raffigurata con mortale serietà dal regista Donner, accompagnata dalla tipica recitazione legnosa di Gregory Peck). Il presagio fu il suo film di svolta, dopo una serie di film di scarso interesse. Primo grande successo che anticipa la trasposizione Superman e ancor prima la serie d’azione di culto, con protagonisti Mel Gibson e Danny Glover,  Arma Letale.

Il bambino/anticristo de Il Presagio si chiama Damien, in riferimento al padre Damien Karras (Jason Miller) co-protagonista nel film di Friedkin. The Omen altro non è – ironicamente – che una produzione patinata e ad alto budget, che ha portato il cinismo apocalittico del periodo direttamente nel mainstream.

In un ospedale di Roma, il diplomatico americano Robert Thorn (Peck) accetta un neonato la cui madre è morta. La sua azione caritatevole è dettata dal bisogno di superare il dolore di aver perso suo figlio, nato morto. Soltanto in seguito Thorn scopre la verità: suo figlio è stato assassinato e quindi ha adottato l’anticristo.

Inizialmente, Thorn, sua moglie Katherine (Remick) e il loro bambino (Stephens) sono presentati come una famiglia idilliaca. Attraverso un montaggio di foto di famiglia e passeggiate bucoliche, accompagnate da un sontuoso arrangiamento d’archi nella colonna sonora.

La loro vita sembra felice, poiché Thorn è nominato ambasciatore americano nel Regno Unito dal suo migliore amico, il Presidente degli Stati Uniti.  A conferma di questa promozione e della sopraggiunta perfetta felicità, acquistano una splendida tenuta di campagna. Ma da questo momento l’orrore inizia a manifestarsi, tra sciagure e morti.

L’inquadratura finale, vero momento cult dell’intero film

Nella ormai nota inquadratura finale, durante il doppio funerale dei Thorn, il Presidente è ora in piedi con Damien, che si gira e sorride lentamente alla macchina da presa. Quello sguardo malefico è rivolto a noi.

Nello specifico, la cerimonia è ricca di onorificenze statali, militari e bandiere americane. Mentre Damien si gira verso la telecamera, vediamo solo la nuca del Presidente: la sua identità è irrilevante, perché è l’intero sistema a essere corrotto e irrecuperabile.

La visione manichea del bene e del male del film, permeata di cristianesimo, forse rispecchia quella evangelica del mondo degli Stati Uniti. Ciò è in contrasto con L’esorcista, che sembra più incentrato sulla decadenza religiosa degli anni ’70.  Le istituzioni sociali tradizionali non sono in grado di fermare l’ascesa dell’ anticristo. L’essere empio causerà conflitti tra gli uomini finché “l’uomo non esisterà più”. Da qui il beffardo sguardo finale.

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