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‘The Walking Dead: Dead City 2’. Ambizioso ma con limiti

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Lo spin-off Dead City amplia l’universo narrativo di The Walking Dead, portando Maggie e Negan in una Manhattan isolata e ormai fuori dal controllo civile. Dopo una prima stagione che ha suscitato reazioni contrastanti, la seconda punta su un’atmosfera più eccentrica e su personaggi secondari fuori dagli schemi. Il risultato, però, resta altalenante.

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The Walking Dead: Dead City 2 : Una Manhattan apocalittica piena di contraddizioni

Ambientare la serie a Manhattan non è una scelta casuale. L’isola, tagliata fuori dal resto del mondo, si trasforma in un microcosmo di sopravvivenza, violenza e stranezze. I gruppi che la abitano hanno caratteristiche bizzarre e marcate: Kim Coates interpreta Bruegel, un capo eccentrico fissato con il lusso e i combattimenti tra zombie; Pooya Mohseni è Roksana, una guida spirituale con un’impronta rituale e folkloristica; Lisa Emery veste i panni della Dama, attrice decadente che vive come se fosse sempre in scena.

Tutti elementi che contribuiscono a costruire un contesto surreale, più grottesco che drammatico. Questo cambio di tono rende Dead City diverso dagli altri spin-off, ma non sempre più efficace.

Il ritorno della coppia Maggie-Negan

Il cuore della storia è ancora il rapporto tra Maggie e Negan. Lei è alla ricerca del figlio Hershel, rapito da un ex-Salvatore. Lui, riluttante ma indispensabile, la accompagna. Nonostante l’apparente forzatura narrativa, il legame tra i due personaggi continua a funzionare. La tensione tra passato e presente è sempre viva, e regala momenti autentici.

Lauren Cohan e Jeffrey Dean Morgan offrono buone interpretazioni. Cohan dirige anche due episodi – “Feisty Friendly” e “Bridge Partners Are Hard to Come by These Days” – che risultano tra i più solidi della stagione. Negan, quando riemerge con il suo tono sarcastico e spietato, riesce ancora a colpire.

Tra potenziale sprecato e problemi strutturali

La seconda stagione presenta spunti interessanti, ma ricade spesso negli stessi errori che da anni affliggono il franchise. La trama principale è debole e stiracchiata, insufficiente per coprire sei episodi da quasi un’ora. L’impressione è quella di un racconto diluito, pieno di scene superflue, dialoghi ripetitivi e conflitti risolti senza reale sviluppo.

Anche i personaggi secondari risultano spesso inconsistenti. Alcuni vengono introdotti senza profondità, altri spariscono poco dopo aver acquisito un minimo di spessore. Un difetto già noto nella serie madre, che qui si ripresenta in modo evidente.

Uno dei problemi di fondo della serie è l’allontanamento dal suo genere originario. The Walking Dead nasceva come survival horror, ma Dead City si orienta sempre più verso lo spettacolo d’azione. La tensione si perde, l’emozione si affievolisce. Anche quando la regia costruisce buone sequenze, come la fuga nelle fognature o l’ingresso a Manhattan, il contesto narrativo non regge.

Il tentativo di distinguersi con toni grotteschi e personaggi sopra le righe non basta a mascherare le debolezze strutturali della scrittura.

Cosa aspettarsi

Dead City cerca di rinnovare l’immaginario di The Walking Dead, puntando su ambientazioni suggestive e su una narrazione più bizzarra. Alcune idee funzionano, ma restano isolate. La serie continua a soffrire di trame deboli, personaggi secondari poco curati e una tendenza alla spettacolarizzazione che penalizza la  narrazione.

Non mancano momenti riusciti, soprattutto grazie al rapporto tra Maggie e Negan, ma non bastano a dare vera identità a uno spin-off che sembra ancora alla ricerca di una sua identità. E poi rimane sempre quel grande punto interrogativo che ogni fan di The Walking si pone: come avrà fatto Maggie a perdonare Negan?

Nella speranza di ritrovare il pathos original del serial, consoliamoci all’idea che le nuove generazioni potranno farsi una loro opinione in merito, anche grazie alla proiezione in chiaro su Cielo della prima, insuperata stagione.

The Walking Dead arriva su Cielo dal 16 luglio

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