Presentato nella sezione del Concorso Internazionale e in competizione per il Pardo d’oro al Locarno Film Festival 2025, With Hasan in Gaza di Kamal Aljafari si consegna al pubblico nell’urgenza di un presente sempre più tetro e sanguinoso, in una terra lacerata allo stremo da massacri ed emergenza alimentare, che qui viene documentata prima dell’escalation attuale, nell’accezione del dispositivo filmico come fonte storiografica sul solco della scoperta errante, in viaggio per strade, vicoli, quartieri di cui probabilmente ora si sono perse tracce, identità, respiro.
Con il pretesto di una piccola e personale missione da compiere, le immagini di With Hasan in Gaza scorrono nella ruvida immediatezza e nel nitore verista di riprese amatoriali e di filmati domestici, intercettando la quotidianità convulsa, vitale e precaria di Gaza City, con i suoi attacchi armati ma anche con i suoi volti: sguardi soprattutto di bambini, al mare, tra la polvere, trafitti dall’inconsapevolezza, che agli occhi dello spettatore scuotono come il meglio del cinema d’impegno civile e politico sa fare.
Prodotto dallo stesso Kamal Aljafari, che ha curato anche la fotografia, il montaggio e il suono, il film si impone nel panorama della kermesse ticinese come pressante opera in grado di far convergere i consensi, non per l’originalità in sé della forma espressiva, ma per la visione poeticamente drammatica della Storia che non cessa di essere inesorabile e di cui, durante i titoli di coda, permane il buio che ci inonda nella cronaca militare di ogni giorno.
L’amico non ritrovato
Di recente, tre cassette MiniDV sulla vita a Gaza sono venute alla luce. Quella che parte come la ricerca di un ex compagno di cella del 1989 si trasforma in un viaggio inatteso dal nord al sud di Gaza insieme a Hasan, guida locale di cui non si sa più nulla. Una riflessione cinematografica sulla memoria, la perdita e il tempo che passa, attraverso una Gaza ormai scomparsa e vite forse smarrite per sempre. [sinossi ufficiale]
Il film trae origine dal recente ritrovamento da parte del regista di un girato del 2001, col tempo dimenticato, che l’autore ha scelto di digitalizzare, rimontare e riadattare nell’audio (con l’inserimento nella colonna musicale di brani palestinesi evocativi, nostalgici, romantici) dopo più di vent’anni dalla sua genesi, quando Aljafari, ex internato in un penitenziario israeliano, si mise in marcia insieme ad Hasan. Non quindi una presa diretta sull’attualità, ma un lungometraggio in cui lo scarto tra ieri e oggi restituisce con eguale, dolorosa coscienza il tragico impatto umano del genocidio.
La perdita del visibile sullo schermo, nella morsa del presente
Non certo un documentario divisivo, ma fin troppo diviso; With Hasan in Gaza, infatti, pare strutturato su un dittico non programmato di contrari che ne accentua lo sbilanciamento a favore della seconda parte: nella prima si irradia la vita comunitaria, si arranca tra i crocevia urbani, tra le fatiscenti abitazioni, con la preminenza delle immagini più che delle parole.
Poi toni più crepuscolari introducono un blocco di racconto più parlato e commentato, dove si staglia la sequenza focale del film. Tristemente memorabile, infatti, la fase di guerriglia notturna in cui Kamal Aljafari rende più pregnante l’essenza del racconto documentaristico e compensa con maturità registica una delle tonalità del film e di Gaza stessa: la convivenza tra costante minaccia di morte e la quotidianità dei singoli che deve scorrere sul’altare della sopravvivenza, che Aljafari traduce opponendo da un lato gli attacchi nemici ripresi da un interno domestico, sul fronte opposto un padre di famiglia che continua a guardare lo sport in tv.
In questo lavoro di coraggio e dignità latita tuttavia una precisa idea di cinema, con l’urgenza della materia narrata che prevarica sulle potenzialità del linguaggio come strumento di denuncia e di politica; ma nel suo stile letteralmente ondivago (con le riprese in taxi, che sembrano celebrare una tradizione che trova il suo alfiere in Jafar Panahi col suo Taxi Teheran, ma senza la sua magistrale valenza metaforica) trovano fugace ma trainante spazio intensi squarci metacinematografici, con i bambini che guardano in macchina e reclamano di essere inquadrati.
Appelli allo spettatore: i bambini ci guardano
L’obiettivo filmico come occhio interpellato dai più piccoli, che in giocosa innocenza rivendicano l’impellente necessità di essere visti e riconosciuti in una cittadinanza d’essere, irriducibile al perimetro dello schermo. Giovanissimi protagonisti che forse non esistono più come quasi tutto ciò che With Hasan in Gaza cattura indelebilmente, in un’impalpabilità spettrale e lacerante, pur nella sua frugale grazia d’umanità.
Una prigione a cielo aperto, come anche questo documentario definisce la Palestina, che Kamal Aljafari in una produzione internazionale (anche con Germania, Francia e Qatar) ha voluto conservare, nel bagaglio emotivo di chi l’ha vissuta sulla sua pelle, come lui stesso ha dichiarato:
“Un omaggio a Gaza e al suo popolo, a tutto ciò che è stato cancellato e che dentro di me si è risvegliato in questo momento drammatico dell’esistenza, o non-esistenza, della Palestina. Un film sulla catastrofe e sulla poesia che resiste.”