C’era una volta una fiaba, ma non una fiaba qualsiasi. Parliamo di una storia che, all’apparenza, sembra già raccontata mille volte. I personaggi sono quelli tipici delle fiabe: principi, principesse, giganti buoni, maghi, stregoni. Ma ogni scena riesce a sorprendere. È una fiaba che parla d’amore senza scivolare nella melassa, che fa sorridere e palpitare il cuore a ogni scena.
La storia fantastica, film del 1987 diretto da Rob Reiner e tratto dal romanzo La principessa sposa di William Goldman, è molto più di un racconto fantastico: è una dichiarazione d’amore al potere eterno della narrazione.
Una fiaba che non rinuncia alla meraviglia
Fin dall’inizio, i codici sono quelli della fiaba classica: Westley (Cary Elwes) è l’eroe bello e coraggioso; la principessa da salvare è Bottondoro (Robin Wright). Intorno a loro, un regno da proteggere, un usurpatore da sconfiggere, un gigante buono e uno spadaccino in cerca di vendetta. Il finale sembra scontato.
Eppure, La storia fantastica compie un passo ulteriore: non si limita a replicare l’archetipo, lo reinventa, scavando nelle pieghe del racconto e dei suoi personaggi. Anche il più malvagio è dotato di un’inaspettata umanità.
Westley, sotto l’armatura scintillante dell’eroe invincibile, è ironico e teneramente impacciato. Bottondoro, regale e fragile, attraversa un arco di trasformazione che dalla paura la conduce alla determinazione.
È in questa continua oscillazione tra fiaba e parodia, tra tradizione e sovversione, che il film trova il suo respiro unico.
Un racconto dentro un racconto: la nostalgia come verità
La struttura narrativa è quella di una matrioska: un nonno (un magistrale Peter Falk) legge una storia al nipote influenzato, restio e intrappolato in un disincanto fatto di sport e videogiochi. E quella lettura, come tutte le letture fatte con amore, è un gesto di cura.
Un dettaglio sottile ma potentissimo: né il nonno, né il bambino hanno un nome. Sono semplicemente “il nonno” e “il nipote”. È una scelta narrativa che apre una porta: chi guarda può proiettarsi in uno o nell’altro, essere colui che racconta o colui che ascolta, l’adulto che trasmette o il bambino che riscopre il piacere dell’ascolto. Una dinamica archetipica e universale.
Lo spettatore, come il bambino, inizia con un certo scetticismo. Ma pagina dopo pagina, scena dopo scena, viene catturato. Quando il nipote, alla fine, chiede:
“Senti nonno… pensi che potresti tornare a leggermi un’altra storia domani?”
questa che sembra una battuta finale si rivela un nuovo inizio.
È la conferma che la lettura condivisa crea un legame profondo, capace di trasformare la resistenza in commozione, il cinismo in coinvolgimento e meraviglia.
Un libro ha il potere di spalancare mondi. E oggi più che mai abbiamo bisogno che qualcuno ci racconti una storia, con la voce, il tempo e l’intenzione.
L’amore vero: verità che attraversa la finzione
“L’amore vero è la cosa più stupenda del mondo”
dice Max dei Miracoli, con tono ironico, certo. Ma La storia fantastica non ride dell’amore vero, ride con l’amore vero. Ne conosce il peso, e sa che solo chi lo prende sul serio può anche permettersi di scherzarci.
L’amore tra Westley e Bottondoro è l’asse portante del racconto. Un sentimento che sopravvive alla morte, al tradimento, al pericolo. Quando lui dice “Ai tuoi ordini”, sta dicendo davvero: “Ti amo, e ti amerò per sempre.” Una frase ripetuta, semplice, silenziosa e sufficiente a fondare un’intera storia.
Ma le forme d’amore non si fermano lì. C’è l’amore di Inigo per il padre assassinato, che lo guida per tutta la vita. C’è quello del nonno per il nipote, che si manifesta nel tempo dedicato a una lettura. C’è l’amore per le storie, forza eterna che oltrepassa i confini del tempo e della finzione.
E nel finale, quando tutto sembra concluso, resta l’eco di quell’amore, lieve e persistente. Come un abbraccio che dura anche dopo la fine.
La colonna sonora che suona come un ricordo
E poi c’è la musica. Quasi invisibile, eppure indimenticabile. Mark Knopfler, frontman dei Dire Straits, compone una colonna sonora fatta di note leggere, evocative. Non vuole stupire, ma accompagnare. Il tema principale è una melodia che sembra provenire da un altro tempo. Una ninna nanna antica. Un ricordo d’infanzia che riaffiora.
Musica che ha il suono della nostalgia, del momento in cui chiudiamo un libro che ci ha cambiati.
Ironia, dolore e redenzione: il segreto dell’equilibrio
Il film alterna registri narrativi con una leggerezza rara: duelli acrobatici, giochi d’ingegno, dialoghi brillanti si intrecciano con dolore, rabbia e desiderio di giustizia, senza mai calcare la mano.
Inigo Montoya, con la sua vendetta ripetuta come una preghiera, è uno dei personaggi più intensi mai apparsi in una fiaba cinematografica. La sua è la storia di un figlio che cerca risposte e le trova, infine, nella spada più che nella parola.
Ogni scena oscilla tra tragedia e ironia, tra emozione e sorriso, in un perfetto equilibrio narrativo.
Una storia che torna, ogni volta, come una carezza
La storia fantastica è un film senza età, perché parla a qualcosa che abita ogni spettatore: il desiderio di essere amati, raccontati, ricordati.
È una celebrazione della narrazione come gesto affettivo. Un film che si guarda con occhi nuovi ogni volta, e che ricorda quanto le fiabe non servano a evadere dalla realtà, ma a riconnetterci a ciò che siamo. La sua forza non risiede solo nella scrittura brillante o nei personaggi iconici e ironici, ma nella capacità di trasformare la semplicità in incanto.
Una storia che resta insieme allo spettatore come un’eco gentile.
Che, alla fine, lo saluta con affettuosa delicatezza.