Giorno dopo giorno, la misoginia trova nuove facce con le quali mostrarsi, nuovi pertugi in cui infiltrarsi in una società fin troppo suscettibile al male, al dolore, all’ostilità e troppo sorda e cieca, troppo inerte alla benevolenza e alla libertà.
Il cortometraggio è un adattamento cinematografico, di 15 minuti, del racconto breve Dans la barque dell’autrice Geneviève Blouin a cura di Vanessa-Tatjana Beerli.
La Barqueè un tentativo di estendere il catalogo – in campo artistico – delle forme di protesta contro i costrutti di genere alle quali il patriarcato ha confinato la donna. Ancor di più, è una scaltra e simbolica rielaborazione di stereotipi, un’intuizione occulta dalle tinte di un profondo blu esoterico capace di riappropriarsi dei codici con i quali la femminilità viene solitamente catalogata.
La misoginia è una nube cupa e penetrante
L’acqua è la sorgente di vita per eccellenza ma questo bene inestimabile sa anche essere per molti un sepolcro. Con una scenografia suggestiva La Barquenarra le gesta di quattro superstiti: tre donne e un marinaio, sopravvissuti ad un naufragio. Una scialuppa, tanto terrore, caligine che annebbia l’atmosfera e acque così profonde e buie da dare fondo a ogni speranza ormai rimasta.
Come insegna la storia, l’essere umano è un animale così anomalo: paura e timore per l’ignoto allontanano l’uomo dal suo prossimo, scatenano odio in lui invece di promuovere comunione. Uno contro l’altro sembra essere il comportamento di default e queste verità non vengono meno in La Barque. L’esistenzialismo umano però è spinto fino all’estremo quando viene dirottato da mascolinità tossica e il desiderio di imporsi sulle donne. Ego, orgoglio, ira e vendetta sono i capitoli principali di questo racconto di oppressione e salvezza.
La furia femminile secondo Vanessa-Tatjana Beerli
Ogni fune, ogni impeto dell’oceano, ogni particella di quella foschia fredda cela peccati inenarrabili, ma il peccato capitale è l’ira. Non una comune idiosincrasia bensì la cosiddetta furia femminile, letale e giustificata. La Barquemonta sagacemente i pezzi di una cornice il cui quadro è un’immagine vista e rivista ma raramente glorificata: una donna che non abbassa la testa ma si difende; una donna che abbandona le lacrime e lascia spazio all’arguzia e alla parola, una donna che trova la sua voce.
Female rage o furia femminile è un’espressione sempre più comune adottata per descrivere la rabbia repressa delle donne in risposta a oppressioni sistemiche e dinamiche di potere patriarcali. Perché i salotti di casa, le sale riunioni, le code in fila hanno un immanente apprezzamento per l’emotività della donna esercitata sotto forma di resa, di pianto, di silenzio, di perdizione, di codipendenza – e tanto altro nel limitato spazio “concesso alle donne nella socialità” – ma l’assertività viene condannata alla pazzia e alla sua repressione?
Una docile principessa persa nel suo cammino in attesa del suo principe su cavallo bianco che possa salvarla, bella e muta: beh il cortometraggio di Vanessa-Tatjana Beerli propone l’esatto opposto. In La Barque l’ira non è un peccato ma una virtù. Le donne non sono remissive né perse. Sono audaci, indipendenti e forti nelle loro fragilità. Le principesse invece lasciano lo scettro a tre streghe che da classiche antagoniste nella tradizionale narrazione della fiaba, divengono protagoniste nonché eroine per le quali tifare.
Chi merita la salvezza? Chi è il vero mostro in questa fiaba?
Violenza e discriminazione sono cause di furia giustificata per chiunque tranne che per la donna, che, secondo la tendenza socio-culturale, dovrebbe rimanere in silenzio di fronte al suo perpetuatore e da vittima inginocchiarsi ai piedi di colui che le ruba dignità, onore, rispetto e umanità come un ladro in piena notte. La regista tuttavia rovescia questo monolito stereotipato e restituisce al genere femminile il legittimo diritto a reagire. Sacrifica la passività e la debolezza – altrettanto nobili – per convalidare la rabbia come emozione alla quale la donna ha potere di attingere, senza dover bussare alla porta per chiederne il permesso. Esplodere soltanto. Da non fraintendere, non vi è incitazione alla violenza bensì si sfidano le norme sociali, si avverte solamente chiunque sia pronto a cogliere queste verità, che la voce soffocata del genere femminile può presto trasformarsi in una minaccia isterica.
L’eccellenza del simbolismo
Per secoli la vulnerabilità della donna è stata ridicolizzata alla pazzia, all’anormalità. Il cortometraggio eccelle nel suo simbolismo: adotta la figura della strega, l’oscurità e i poteri soprannaturali legati ad essa come rappresentazione di ciò che la donna deve essere per sopravvivere, essere umane ahimè non basta. Ci si deve rimboccare le maniche e saper trasformare l’acqua in vino; avere sempre un asso nella manica e una magia da compiere. Ma in questa caccia alle streghe non vi è solo odore di morte. Vi è anche incanto perché loro sanno essere ammalianti soggetti del desiderio, vi è sisterhood, una solidarietà femminile dalla lucentezza serafica come quelle acque profonde.
Un racconto pittoresco al vetriolo di un senso di appartenenza furente in cui la donna si arroga il diritto di esistere e sceglierlo come farlo. La salvezza è vicina ma allo stesso tempo così lontana e solo uno dei nostri quattro superstiti lo scoprirà con le cattive maniere. La Barque di Vanessa-Tatjana Beerli è in concorso al South Italy International film festival nella categoria Best Horror Short Film. Non perdere le altre proposte e scopri di più del festival.