TERRA LENTA FILM FESTIVAL

‘Mountains that weep’ – L’origine della parola origine.

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In concorso alla  prima edizione del Terralerma Film Festival, Mountains that weep  è un circolo vizioso e virtuoso sulla ricerca di risposte. Le domande si rivolgono a spazi esistenziali talmente vasti da non avere un confine. Per questo l’unica strada è rivolgersi alle origini, a quello che c’era prima di noi ed è ancora presente. L’oracolo sarà la terra, la sua saggezza, la sua storia, i suoi cambiamenti indispensabili affinché potesse rimanere ferma, eterna.

La trama

All’ombra di montagne guardinghe che sovrastano le azioni e le disfatte umane, un geologo e un poeta esplorano il paesaggio amazzonico alla ricerca di indizi con cui ricostruire un passato storico e culturale in rapida scomparsa. Zezé, geologo con una propensione alla meditazione, percorre antiche rocce amazzoniche per raccogliere la loro trasformazione. Efraín, poeta indigeno, celebra un’ode alla sua cultura. Una missione ardua, ostacolata anche dalle distrazioni dissonanti della modernizzazione. Un racconto reso esponenziale dalla personale  narrazione della regista che ci conduce all’interno del suo percorso interiore.

L’occhio della cinepresa e della montagna

Il punto di vista e della visuale della macchina da presa è da subito evidente. Dapprima occorre venerare la grandezza di quella cima. In ogni cambio di scena e di azione si percepisce la sua presenza, come un guardiano, un faro che illumina, che guida e verso a cui dirigersi. La focale è aperta per racchiudere l’intorno ma una cross section puntuale segmenta i segni della pietra e della storia. Una regia che è anche fotografia. Cattura il movimento bidimensionale dell’aria e dell’acqua in perenne stato di auto rigenerazione. Allo stesso tempo si arresta di fronte alla condizione statica dei corpi vegetali e minerali, figli di un’antica gestazione.

La musica è composta dai suoni che la stessa terra emana, il frinire delle cicale, il canto dei  fringuelli, il croscio del fiume. Note interrotte solo da una sinfonia soffiata ma possente che annuncia l’apparizione della grande montagna, la casa degli dei.

Il passato che è presente

Un documentario in cui tutti sono protagonisti: la voce fuori campo, confessione di un’autobiografia, gli uomini che vagano con le menti e con le gambe nel grembo e nello spirito di Madre Natura, la presenza viva del passato. La sceneggiatura è un pellegrinaggio, una missione di cui si investe l’essere umano per catturare l’eco degli insegnamenti di ere andate,  farsene discepolo, per poi farla risuonare nelle menti delle generazioni future. Una trama che accompagna uno studio letterario, scientifico, fisico e metafisico. Ma nonostante l’obiettivo cinematografico possa apparire impegnativo, la comunicazione è affidata a parole calibrate, quelle necessarie a legare l’intangibile all’empirismo.

Un viaggio personale, introspettivo, che si ritiene necessario. Uomini che percorrono la storia della terra e della propria vita per comprenderne il legame. Una connessione empirica che ha bisogno di un costante impegno per decifrarne i segnali, le tracce e le vibrazioni affinché non si disperdano.  La chiave di lettura è la ricerca, lo studio, la meditazione, il pensiero, il continuo bisogno di riempire le tasche della conoscenza e della coscienza. Un cammino dove la meta non è la destinazione, ma è essa stessa motore di un percorso interiore teso alla scoperta di chi eravamo per iniziare ad essere.

Sono passi di un’ascesa che conduce alla profondità. Sta a noi non fermarci alla superficialità.

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