Disponibile gratuitamente fino al 6 novembre 2025 sulla piattaforma arte.tv (vedi il documentario), Bye Bye Tiberiade è il secondo lungometraggio documentario di Lina Soualem, uscito nel 2023, tre anni dopo Leur Algèerie (2020), in cui esplorava la memoria della famiglia paterna. In questa nuova tappa del suo percorso personale e artistico, Soualem rivolge lo sguardo verso la sua linea materna, ripercorrendo la storia di quattro generazioni di donne, legate da un profondo senso di appartenenza a una terra oggi frammentata, ma ancora viva nella memoria e nella voce, nonostante lo sradicamento.
Il passato che ci abita
Il passato non scompare: rimane nel corpo, nei ricordi, nelle parole di chi lo ha vissuto e di chi lo eredita. Come una ferita mai rimarginata, torna a pulsare e ci richiama a sé. Anche se apparentemente restano solo rovine, ciò che è stato ci costringe a fermarci, guardarci dentro e riconoscere le nostre radici e ciò che siamo diventati. Bye Bye Tiberiade è un attraversamento lucido e commosso di queste tracce: non è soltanto un racconto familiare, ma una meditazione profonda su come l’identità si costruisca nella memoria e nella perdita.
Una genealogia al femminile
Soulem costruisce il racconto attraverso un intreccio di voci familiari: la sua, quella di sua madre Hiam Abbas e quelle delle zie, in un dialogo che attraversa luoghi, generazioni e silenzi. A cominciare da Um Ali, la bisnonna, costretta nel 1948 ad abbandonare la casa a Tiberiade con lo scoppio della guerra arabo-israeliana. Inizia così un lungo esodo verso il Libano, durante il quale si perdono affetti e frammenti di sé, come Hosnienh, zia di Hiam, rimasta oltre il confino siriano. Quando la famiglia torna in Palestina, trova solo distruzione: è allora che decide di stabilirsi a Deir Hanna, dove prende forma una nuova quotidianità, fragile e resiliente. Questa catena di spostamenti e frammentazioni è il filo attraverso cui si tesse la memoria delle donne della famiglia, custodi silenziose ma decisive di un’identità dispersa.
Hiam Abbas: un’eredità incarnata
Al centro del film c’è Hiam Abbas, madre della regista, attrice palestinese che ha costruito la sua carriera internazionale tra cinema israeliano, palestinese e occidentale (Free Zone, Il giardino dei limoni, La sposa siriana, Munich, Blade Runner 2049, Succession). Hiam sceglie di lasciare Deir Hanna per trasferirsi a Parigi, spinta dalla volontà di inseguire il sogno di diventare attrice, ma anche dal bisogno di libertà e di respiro. Lina nasce lì, in Francia, e cresce lontana dalla terra della madre, ma profondamente legata a quell’eredità che sente presente, viva, anche se spesso indicibile. Il film, per la regista, è anche il tentativo di capire cosa significhi portare sulle spalle questa storia, come costruire un’identità su un’eredità spezzata.
La ferita della terra perduta
Nel corso del documentario, le protagoniste ritornano a camminare sulla terra dei loro antenati: Bye Bye Tiberiade è ambientato in gran parte in Palestina, tra i villaggi, le case, i paesaggi che hanno segnato la storia della famiglia di Lina. Ma la Palestina non è solo un tema politico o storico; è una presenza intima, concreta, emotiva. Madre e figlia la attraversano cercando i luoghi perduti, interrogandosi su ciò che resta, su ciò che rischia di scomparire. Chi siamo quando la nostra terra non ci appartiene più? Cosa ci rimane quando tutto ciò che resta è un odore, un’immagine, una lettera ingiallita? «Sono nata lontana da questo lago ma lo sento così vicino…» dice Lina mentre si trova sulle rive del lago di Tiberiade. È in questa tensione tra lontananza e vicinanza che il documentario trova la sua forza più autentica.
Una narrazione fatta di ritorni
Il film non segue una narrazione lineare, ma si muove costantemente tra presente e passato, seguendo il flusso della memoria. Immagini d’archivio, fotografie e racconti delle donne si intrecciano ai frammenti del presente, dando forma a un vortice temporale in cui memoria e perdita si sovrappongono. L’identità si costruisce così non attraverso ciò che si vede o si tocca, ma attraverso ciò che si sente, profondamente, dentro di sé. In questo scavo continuo nella memoria, ogni ritorno diventa un passo verso la comprensione di sé.
Quando si è sradicati, quando non si può più dire il nome della propria terra – Mia madre è nata in un’epoca in cui era vietato dire Palestina – allora il passato diventa un atto di resistenza. Le foto, i video, i racconti sono testimoni di un’esistenza negata, ma mai cancellata. Bye Bye Tiberiade è proprio questo: un gesto di memoria, un tentativo di non dimenticare, di collocarsi nel mondo attraverso una storia familiare che diventa universale.
Una memoria che resiste
Attraverso un racconto intimo, visivamente delicato e narrativamente potente, Lina Soualem ci regala un film che è tanto un tributo quanto una dichiarazione di identità. È la storia di un ritorno impossibile, di una terra mai del tutto perduta, di una ferita che sanguina ma che, nel raccontarsi, diventa forza. Bye Bye Tiberiade è una lettera visiva, un atto d’amore verso la propria storia e verso tutte le storie che ci abitano senza che le abbiamo davvero vissute. Un invito a ricordare, a ritornare, a resistere.