Cactus International Children's and Youth Film Festival
Educare con lo sguardo: intervista ad Alessandro Stevanon
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10 ore agoon
Il cinema rivolto all’infanzia non è un genere minore, né un semplice esercizio pedagogico. È una forma narrativa che sa parlare con radicalità anche agli adulti. Lo dimostra il Cactus International Children’s and Youth Film Festival, giunto oramai alla sua quinta edizione.edizione. Dopo aver conquistato pubblico e critica nelle passate edizioni, il festival si sposta in estate e si espande: Aosta resta il fulcro, ma si aggiungono tappe a Morgex, Châtillon, Fénis e Bard. A guidarlo troviamo Alessandro Stevanon, regista e docente, che unisce l’esperienza sul campo all’attenzione per i linguaggi dell’educazione e dell’immaginario. Con lui abbiamo discusso del senso profondo di un festival che non si limita a proporre un’opera, bensì tenta di ridefinirne il ruolo dello spettatore giovane all’interno della comunità.
Tra tradizione e innovazione
Ci troviamo alla quinta edizione del Cactus Film Festival: cosa le sembra cambiato più radicalmente nel modo di concepire un festival per un pubblico così giovane, e cosa invece ha voluto che rimanesse invariato?
In questi cinque anni ci siamo accorti che l’idea che ci ha mosso a creare questo festival era corretta: creare uno spazio di cinema di qualità, ma dedicato ai più piccoli. Quindi uscendo dai prodotti mainstream, più commerciali, che hanno comunque il loro valore, ma cercando storie dove i bambini e le bambine, i ragazzi e le ragazze fossero i protagonisti. Dove autori giovani a livello mondiale potessero veicolare opere create appositamente per un pubblico giovane. Questo ci ha dato una conferma, perché di anno in anno i numeri sono cresciuti in maniera esponenziale. Il progetto parallelo dedicato alle scuole, Cactus Edu, è arrivato nell’ultima edizione a coinvolgere circa 70.000 studenti su tutto il territorio italiano. Vuol dire che c’è sete di cinema di qualità. Bambini, insegnanti, genitori — tutto il mondo adulto è sensibile a questo argomento, e quindi siamo felici.
Siamo cambiato molto, perché ogni edizione per noi è una sfida. Al termine di ogni edizione cerchiamo di capire cosa ha funzionato, cosa potrebbe migliorare. Ogni anno aggiungiamo o togliamo qualcosa, modifichiamo cercando di accogliere le richieste del pubblico e migliorare ogni volta l’offerta.
L’importanza dei giovani
Con Cactus Edu e Cactus Village il festival non propone solo visioni, ma prepara i giovani a viverle. Cosa significa per lei educare i più piccoli attraverso un taglio cinematografico cosciente? Soprattutto in un periodo storico come questo dove qualsiasi prodotto risulta facilmente accessibile.
Uno degli obiettivi è dare delle indicazioni per avere una postura corretta e critica di fronte ai film. Quindi non è la mera visione passiva, ma cercare di capire i meccanismi narrativi, la passione per la storia, la costruzione. Infatti sì, partiamo come festival cinematografico, ma quello che ci unisce è il valore del raccontare, della storia. Lo decliniamo in tanti modi: il cinema la fa da padrone, ma c’è anche letteratura, musica, teatro, attività di gioco intelligente o creativo dove il bambino non è mai passivo, ma parte attiva.
È vero che oggi il mondo digitale, anche attraverso le piattaforme, offre una grande quantità di prodotti. Noi andiamo a cercare quelli che lì non ci sono: cortometraggi distribuiti, almeno in Italia, quasi esclusivamente nei festival. In Europa e nel mondo ci sono altre possibilità, ma crediamo fortemente nel valorizzare il cinema di qualità e gli autori e le attrici che si impegnano non solo dal punto di vista artistico. Le opere che selezioniamo sono molto eterogenee, sia come tecnica sia come narrazione. C’è anche una grande varietà geografica: ogni anno riceviamo film da oltre novanta paesi del mondo. Questo ci serve per dare agli adulti del futuro una finestra sul mondo. Per capire culture diverse, avere un approccio linguistico diverso. In questo momento storico più che mai abbiamo bisogno che gli adulti di domani si abituino all’incontro con culture diverse, modi diversi. Aprirsi allo scambio e alla pace anche tra persone.
I luoghi di Cactus
Il festival ha scelto di abitare anche spazi non convenzionali: partendo dall’allestimento negli spazi aperti, ma anche dal café del centro, la Saletta d’Arte e persino l’ospedale regionale. Cosa significa per voi portare il cinema e l’arte visiva fuori dai luoghi canonici?
Il cinema, come qualsiasi altra forma d’arte, ha i suoi luoghi deputati. Ma quello che ci piace è contaminare, portare il cinema lì dove non arriverebbe altrimenti. Quest’anno, d’estate, ci piace condividerlo all’aperto, visto il bel tempo e la possibilità di accogliere un gran numero di persone. Dall’altra parte, lo portiamo anche dove non c’è o dove ce n’è bisogno — come all’ospedale, dove regalare un momento di svago ai piccoli degenti ci sembra importante. Lo facciamo proprio come spirito di servizio. Cactus Edu, per esempio, è totalmente digitale, e questo ci permette di arrivare nelle periferie di tutta Italia. Anche nello scambio con gli insegnanti emerge spesso che in certi contesti è l’unica forma d’arte a cui i bambini possono accedere. Per ragioni economiche o infrastrutturali. Ogni volta che riceviamo commenti in questo senso ci rafforziamo nella volontà di investire non solo nel cinema, ma anche nei luoghi “altri”, portando la magia del cinema ovunque.
I temi del Festival
Tra le tecniche miste, i paesi coinvolti e le fasce d’età, la selezione appare molto sfaccettata. C’è una parola, un’immagine, un’idea che secondo lei rappresenta il cuore dell’edizione 2025?
Gli autori dei corti che selezioniamo sono generalmente molto giovani, e questo ci fa molto piacere perché si vede la freschezza e l’attualità dei temi. I temi più ricorrenti, che ci aiutano anche nella selezione, sono la sostenibilità ambientale — un problema urgente che gli autori riescono a raccontare molto bene —, la guerra, come monito e riflessione, e l’amicizia. L’amicizia intesa a 360 gradi, non solo quella tra due persone, ma come solidarietà, come potercela fare anche di fronte alla difficoltà. Resilienza, appunto. Attraverso il cinema e l’arte cerchiamo di veicolare messaggi importanti per gli adulti del futuro.
Se potesse proiettare un solo film del festival davanti ad una classe scolastica, quale sceglierebbe? E quale scena non vorrebbe che dimenticassero?
È difficile scegliere un solo film, perché sono tanti e tutti molto importanti. Ma se devo sceglierne uno, direi Cinema Rex, che abbiamo proiettato due anni fa. È la storia di un antico cinema nella città vecchia di Gerusalemme. Due bambini — una bambina palestinese e un bambino israeliano — si incontrano all’interno del cinema, gestito dal padre del bambino. I due si conoscono, senza dare alcun peso alle differenze che invece nel film sono ben percepibili. Attraverso la magia del cinema nasce un’amicizia. Questo è ciò che mi auguro: che il cinema, anche se non può risolvere situazioni complesse, possa mandare messaggi forti. Attraverso l’amicizia, attraverso lo sguardo innocente dei bambini, che non vedono differenze di religione, provenienza, colore della pelle o disabilità. Vorrei che questo sguardo restasse in loro per sempre, anche da adulti. E che ricordasse anche agli adulti quanto sia importante la tolleranza e la pace, soprattutto oggi, in un momento in cui le guerre sono ovunque, e migliaia di persone muoiono ogni giorno. Questo messaggio di pace è ciò che vorrei rimanesse nei cuori, soprattutto dei bambini, ma anche degli adulti.