Cactus International Children's and Youth Film Festival

‘Cold Soup’: l’amore violento che ti annega

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Torna in questi giorni il Cactus International Children’s and Youth Film Festival, che per la sua quinta edizione sceglie l’estate per i suoi laboratori e proiezioni. Il festival è un viaggio nell’animazione adatto a tutte le età, tra spettacoli e attività adatte anche alle famiglie. Tra i cortometraggi previsti dal programma ufficiale del Festival citiamo Cold Soup, un viaggio intimo che attraversa il tempo nella vita di una donna incastrata in una relazione violenta. 

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Acqua: metafora di un rapporto che trascina giù

Una donna vittima di violenza domestica ripercorre la propria storia, e le sue sensazioni diventano visibili.

Il cortometraggio Cold Soup, della durata di soli nove minuti realizzato da Marta Monteiro, si apre col simbolo che attraverserà l’intero sviluppo della storia, metafora di un amore impostore: l’acqua. L’acqua che annega la protagonista, una donna e madre che si ritrova a sopportare le violenze del marito in favore dei figli, in attesa che crescano. E così, mentre aspetta che loro diventino grandi, e mentre aspetta di riuscire a trovare un lavoro, continua a subire la sua ira, scatenata dalle più innocue piccolezze. E si sente annegare, in quell’acqua scura, senza che lui la lasci tornare in superficie.

Così in Cold Soup vediamo passare il tempo, e la donna ancora intrappolata nei sentieri contorti del suo rapporto col marito. Gli anni scorrono e finalmente tutti i suoi figli si sono ormai accasati e sistemati. Non c’è più nulla che la obblighi a rimanere là, tra le grinfie del marito violento. Così finalmente prende coraggio e lascia quella casa: un mobile rubato qua, un mobile rubato là, e nel silenzio scivola verso un luogo più accogliente, che possa chiamare casa veramente. Ma non senza prima lasciare per il marito un po’ di zuppa preparata, da cui il corto prende il suo nome.

Cold Soup: l’animazione

L’animazione di Cold Soup è essenziale e grottesca: ambientazioni e oggetti assomigliano a un collage un po’ vintage, come immagini ritagliate da vecchie riviste che formano le ambientazioni. I personaggi del corto, silenziosi nel corso di tutta l’opera, sono realizzati mediante l’utilizzo di una singola linea sottile, trasparenti allo sguardo, come sagome che vaghino sullo schermo. Non hanno volto né occhi: solo un contorno che si perde sullo sfondo, una storia che potrebbe appartenere a chiunque.

La regia astratta

Il corto non si lascia andare in lunghi discorsi, né i personaggi parlano o interagiscono tra loro. A spezzare il silenzio una melodia leggera qua e là, che quasi non si sente. E un’unica voce narrante, quella della protagonista, che racconta la sua esperienza mano a mano che Cold Soup procede sotto i nostri occhi. Le ambientazioni assumono un carattere astratto. E come forme astratte si modellano e deformano in strutture essenziali, che riescono tuttavia nell’intento di farci comprendere il carattere asettico della vita della protagonista. Ad accompagnare la storia rumori e suoni familiari e domestici, che riempiono i silenzi e ci immergono fino in fondo nell’azione.

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