RIVIERA INTERNATIONAL FILM FESTIVAL

Akaki Popkhadze: intervista al regista di “In the Name of Blood”

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Akaki Popkhadze ci porta a Nizza con un personalissimo gangster movie, Brûle le sang – In the Name of Blood”, frutto di una spiccata creatività, un’idea molto forte e una notevole conoscenza di generi e registi. Il regista originario della Georgia ha presentato il suo film al Riviera International Film Festival, vincendo il premio come miglior regia. In questa intervista esclusiva, Popkhadze ci confida i retroscena sulla genesi del film, da dove trae ispirazione e ci racconta alcuni espedienti tecnici. Infine, sottolinea che nel nostro Paese il film non ha ancora trovato un distributore che contribuisca alla diffusione di In the Name of Blood, secondo lui una vera chicca per il nostro pubblico, anche alla luce della conoscenza della cultura italiana e dei suoi capisaldi.

Per iniziare, intanto ti chiederei da dove viene l’idea? C’è qualcosa della tua vita che l’ha ispirata?

Grazie per la domanda. Ci sono molte cose. C’è una storia vera che il mio co-writer ha letto nel 2019 in un giornale francese. Qualcuno è stato ucciso da un uomo della mafia, ma non era la persona che volevano uccidere e perciò si tratta solo in parte di una storia vera. Comunque ho colto in questo fatto di cronaca una possibilità e ho immaginato, insieme al mio co-sceneggiatore, che quest’uomo avesse due figli di cui uno dei due desidera vendetta.
Ho attinto dalla mia vita personale i temi della famiglia, della religione, della violenza. Mia madre è una professoressa di pianoforte, proprio come la madre nel film, e ho un fratello minore. Quindi, è un mix tra una storia, parzialmente vera, e la mia esperienza di vita a Nizza.

E quale è stato il percorso del film? Quando lo avete scritto?

Abbiamo iniziato tra il 2020 e il 2021 per poi cercare finanziamenti nel 2022. Lo abbiamo presentato al Locarno Film Festival che aveva delle sessioni di pitching chiamate Alliance 4 Development. Nel 2022 il CNC ci ha offerto un finanziamento e quindi abbiamo terminato poi la sceneggiatura nel 2023.

Penso che il film sia brillante anche per il modo in cui rappresenta forze opposte, ed è anche straordinario nel suggerire una realtà complessa. Possiamo vedere amore e odio, legami familiari e conflitti, mondi glamour e criminali, fede ed istinti. Cosa volevi comunicare con il film?

Volevo parlare di famiglia, dei legami familiari, dei doveri e della religione. Volevo mostrare il conflitto tra la volontà di agire in un modo e l’obbligo di perseguire un’altra via.
La tragedia del protagonista, Tristan, nasce proprio da questo: lui vuole diventare prete, vuole dedicare la sua vita a Dio. Ma quando suo padre viene ucciso e suo fratello torna a casa, si trova costretto a caricarsi della responsabilità degli affari della famiglia. È un conflitto interno molto forte: ciò che desidera non coincide con ciò che deve fare.

Se guardiamo il film, possiamo notare elementi di gangster movie, dramma familiare, thriller, noir. È come un “melting pot” di generi ben assemblati. Volevo chiederti se hai avuto delle influenze specifiche in termini di registi o film.

Oh sì, assolutamente. Mentre scrivevo e sviluppavo la storia con il mio co-sceneggiatore, avevamo in mente un po’ di James Gray e il suo film Little Odessa. Ci sono alcune similitudini. Lui parla di immigrazione, crimine, famiglia e degli ebrei ucraini a New York. Nel suo film c’è la storia di due fratelli e un dramma familiare ambientato nel mondo criminale, ma più in generale piacciono molto i suoi primi tre film.
Per la parte estetica e artistica, mi ispiro ai grandi movimenti di camera e a quei lunghi piani sequenza di Brian De Palma in film come Carlito’s Way o Snake Eyes. E poi ci sono anche influenze sovietiche: Tarkovsky, Parajanov. Sono nato in Georgia, poi ho vissuto in Russia e ora sono in Francia. Sono io stesso un melting pot, un mix di culture e linguaggi che cerco di riversare nella mia narrazione.

Infatti sotto l’aspetto tecnico, il film fa un ampio uso del grandangolo e del piano sequenza. Ho letto che hai girato anche un mediometraggio intitolato I See, anch’esso interamente in piano sequenza. Come mai queste scelte?

Esattamente il film è una combinazione di tre elementi: grandangolo, piano sequenza e il movimento costante della camera a mano. Non ci sono mai inquadrature statiche sul treppiede o sul dolly. Il DOP è sempre in movimento, girando intorno ai personaggi, attraversando gli spazi.
Il grandangolo mi dà la possibilità di avvicinarmi molto ai volti, agli occhi degli attori, di catturare ogni piccola vibrazione. Questo porta gli attori fuori dalla loro zona di comfort, creando un senso di ansia, di tensione. La camera è così vicina che sembra quasi di entrare nella loro intimità. Questo movimento continuo dà allo spettatore la sensazione che qualcosa possa accadere in ogni momento. È come se la camera potesse cadere da un momento all’altro.

La musica è una componente fondamentale del film. Come è nata la collaborazione con Guillaume Ferran?

Guillaume Ferran è un caro amico. Ci conosciamo dai tempi della scuola. Ha composto le musiche per i miei due primi film, quindi è stato naturale sceglierlo per il mio primo lungometraggio.

Abbiamo parlato molto e ci siamo confrontati sul voler inserire e trasmettere temi come la nostalgia, la religione e sensazioni di tensione, visto che il film è anche un gangster movie. Poi volevo poca musica e non troppo moderna: ci tenevo che ci fossero violini e pianoforte, per creare un effetto un po’ classico come nei vecchi film. Lui ha integrato elementi religiosi esistenti, come i cori della chiesa, mescolandoli alle sue composizioni. Il risultato è qualcosa di nostalgico, un po’ thriller e appunto un po’ religioso. Penso che il film sia notevolmente migliorato grazie alla sua musica. È come un personaggio a sé in cui Guillaume, con estrema generosità, ha messo molto della sua persona nelle composizioni.

Qual è la scena in cui hai sentito più energia e potenza?

C’è una scena a metà film in cui la madre suona il pianoforte mentre i due fratelli la guardano in silenzio. È un momento di calma apparente, un attimo di raccoglimento e amore familiare, l’unico in cui i tre si fondono in un abbraccio. Subito dopo, c’è un’esplosione di violenza nel combattimento tra i due fratelli. Prima c’è il legame intimo della famiglia, poi la rottura violenta. È uno dei momenti più potenti del film.

Vuoi aggiungere qualcos’altro?

Vorrei dire che il film al momento non ha ancora un distributore italiano. Sarebbe fantastico se qualcuno fosse interessato a diffonderlo nelle vostre sale. Penso che il pubblico italiano, in particolare, possa apprezzare  questa storia, per i suoi temi legati alla famiglia, alla religione e alle dinamiche criminali.

Qui l’imperdibile trailer e chi lo sa, magari solo un assaggio prima che qualche distributore colga positivamente l’appello.

 

 

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