Il debutto cinematografico dello scrittore teatrale Martin McDonagh è una commedia sorprendente e molto oscura. La trama, costituita da un susseguirsi di eventi imprevedibili, va assaporata scena dopo scena. In Bruges è guidato dalle peculiarità dei suoi personaggi. I due protagonisti, Colin Farrell e Brendan Gleeson, sono una coppia di irlandesi sicari che funziona benissimo. McDonagh è un regista sublime che in ogni suo film, da Tre manifesti a Ebbing, Missouri (2017) a Gli spiriti dell’isola (2022), solleva dilemmi morali a partire da questioni comuni. L’idea che i criminali abbiano dei principi può sembrare anacronistica eppure anche i famigerati gangster hanno regole da rispettare. Non a caso, sin dagli esordi, il cineasta ha posto come epicentro del suo cinema crisi di valori personali e ambigui.
Il suo primo lungometraggio mostra come persone scrupolose possano finire dalla parte sbagliata della legge, senza darci una risposta definitiva. Ciò che il film-maker cerca di fare è scavare nelle azioni e nelle coscienze dei due criminali. I protagonisti, mandati in Belgio in un’apparente spedizione malavitosa, dovranno fare i conti sia con il compito del loro capo sia con la loro anima. Ed è proprio su questo innesto filosofico che la trama si snoda splendidamente. In Bruges ha ricevuto la candidatura per la miglior sceneggiatura originale agli Oscar 2009. Si trova disponibile per la visione su Amazon Prime Video.
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‘In Bruges’: introduzione al film
La commedia nera è stata spesso identificata come un ibrido tra racconto d’azione e narrazione drammatica, anche se non è precisamente così. Per esempio alcuni critici ritengono film come Knives Out (2019) o Get Out (2017) delle commedie nere. Sono entrambi un mix di generi ma, fondamentalmente, restano un thriller il primo e un horror il secondo. La black comedy pura è a cavallo tra il serio e lo sciocco. Si sostiene con battute inaspettate disseminate nell’arco filmico e che giocano sia con l’empatia sia con la schiettezza. Lo humour nero cinematografico è un tuffo nel profondo degli abissi umani con l’arma della vis comica a fare da scudo. L’esordio nel mondo dei lungometraggi di McDonagh rispecchia pienamente le qualità più pure di questo genere.
La storia tratta diversi temi complessi come il suicidio, l’omicidio, il bigottismo, la condizione di fortuna o sfortuna in cui si è nati. A fare da collante a tutti gli elementi in In Bruges c’è un complotto umano che non smette mai di sorprendere. Il film è una delle dark comedy migliori viste negli ultimi vent’anni. Questo non solo per il suo piccolo cast pieno di talento, o per la trama avvincente e accattivante, quanto piuttosto per la sua infinita serie di osservazioni toccanti che si armonizzano con ogni risata gutturale.
È un viaggio riflessivo profondo e universale, che miscela ipocrisie, follie, desideri ossessivi, orgogli ostinati, codici illegali e amicizie improbabili. Tanti aspetti della vita passano attraverso gli occhi di questi due assassini peccatori, mentre tutto rimane appeso a un divertente filo ironico.
In Bruges
In Bruges la trama
L’assassino irlandese alle prime armi Ray (Colin Farrell) e il suo mentoreKen(Brendan Gleeson) vengono mandati a Bruges dal loro capo Harry Waters (Ralph Fiennes). La spedizione è una punizione in seguito al fallimento di un colpo da parte di Ray. L’uomo, che ha ucciso per sbaglio un bambino, vive tormentato dal senso di colpa. Nella pittoresca cittadina i due killer devono aspettare un famigerato ordine dal superiore. Nell’attesa, Ken si bea delle architetture storiche del luogo e dello stile di vita pigro. Al contrario, il collega è annoiato e irrequieto fino a quando, spiando le riprese di un film, decide di addentrarsi nel set.
Mentre il più giovane è fuori a imbrigliarsi in guai con una delle attrici, il più anziano dei due riceve una chiamata da Waters. Il capo lo indirizza al prossimo obiettivo: ammazzare Ray. Ken naturalmente non vuole farlo, ma sa che è obbligato ad accondiscendere il suo boss. Deve fare una scelta difficile che ha conseguenze pericolose sia per lui, sia per l’amico, sia per Harry. Nel frattempo quest’ultimo, determinato a finire il compito il prima possibile, giunge a Bruges arrabbiato per il tergiversare del sottoposto. Tutto quello che viene dopo è imprevedibile e a tratti inaspettato.
La personalità dei protagonisti
In Bruges mira a usare dialoghi progettati per evidenziare la sfacciataggine dei suoi personaggi. Ray è colpevole di essere ancora troppo giovane, capriccioso e privo di filtri. La sua opinione critica è confermata a partire dal suo arrivo nella città, disinteressato a sapere anche solo dove questa si trovi a livello geografico. Nella sua prospettiva, quella città è un posto noioso e tedioso. Il personaggio di Farrell si sente ironicamente come se si trovasse in una realtà cimiteriale, ricca di edifici antichi, birre sciape, turisti americani.
Al contrario, Ken ritiene che girare per Bruges sia una dolce cavalcata verso luoghi interessanti: in virtù della sua età matura è molto più saggio. A conferma di tutto ciò, osserviamo come la formulazione dei suoi pensieri avvenga in modo più appetibile e diplomatico rispetto al compare. Ci si trova a chiedersi come questo signore flemmatico e pseudo-colto faccia il sicario. Il suo lato più scuro e selvaggio verrà fuori più tardi, quando il livello di stress aumenta con l’amico che si mette nei guai.
Le notti selvagge di Ray, tra prostitute, ubriacature, vicende di droga, conversazioni esistenziali, cambieranno la sua prospettiva di vita. Il peccato cardinale del giovane è la sparatoria accidentale di un infante. Discorso diverso va fatto per Harry. L’uomo, nonostante sia macchiato di sangue fino al midollo, rispetta solo una semplice regola: i bambini non si toccano. Quindi la collisione tra le personalità degli alter ego di Farrell e Fiennes sarà inevitabile. Il boss è padre di tre ragazze e questo dogma è anche il suo tallone d’Achille, con il suo apice nel sorprendente finale.
Il rapporto chiave tra Ken e Roy
Proprio come ne Gli spiriti dell’isola, In Bruges funziona grazie all’alchimia tra i due protagonisti. Una coppia mentore-studente che si evolve in qualcosa di simile a una relazione padre-figlio. Pur non apparendo vicini in termini affettivi, si intuisce che Ken si senta paternamente legato a Ray, a prescindere dal lavoro che fanno insieme. Gleeson e Farrell si intrecciano armoniosamente, creando un’unione quasi telepatica in cui i tempi e i ritmi delle loro interazioni sono naturali. Riescono a centrare la giusta via di mezzo all’interno delle personalità in conflitto. La sceneggiatura li ha sicuramente aiutati a lavorare sulla chimica reciproca. In effetti si tratta di un canovaccio straordinario, pieno di arguzia frizzante, filosofie di vita singolari, riflessioni scomode e provocatorie.
I difetti del più anziano della coppia sono mascherati dietro la facciata serenamente pacata. Il merito di questa riuscita va a Gleeson, il quale svela gradualmente i lati bui del suo carattere. Il sodalizio dei due protagonisti va ricercato in semplici situazioni, da come reagiscono ai disguidi o ai litigi dal carattere famigliare. Il loro modo di operare è guidato dai frizzi di McDonagh, che li vuole sempre snervati ma anche comici. Il cineasta desidera sollecitare la capacità di reazione del pubblico: dalla comprensione del sotto-testo, al prevedere se la prossima scena sarà divertente o drammatica. Se in apparenza siamo messi alla prova, la regia ci conduce a discernere ciò per cui bisogna davvero ridere e ciò che conduce a sentieri oscuri.
Ad aggiungersi al duo magico c’è Ralph Fiennes e si sa che l’attore britannico non è estraneo a ruoli da cattivo. Ad onore del vero il suo Harry Waters è molto diverso da Voldemort in Harry Potter e dallo spietato Amon Goeth in Schindler’s List (1993). Nel film del 2008 il suo personaggio malvagio colpisce con la sua ferocia, ma è anche un padre di famiglia con dei principi inespugnabili. Questa dicotomia interiore tra bene e male lo rende un personaggio perfettamente incasellato nell’universo cinematografico del regista britannico.
Il ruolo centrale della città di Bruges
Il film compie un lavoro interessante con Bruges. Ci mostra una città incredibilmente bella, senza mai sembrare un diario di viaggio. Usa la cittadina per spiegare chi sono i personaggi, quali sono le loro personalità, i loro pregi, le loro debolezze. Quando Ken vuole salire in cima a una vecchia torre di un campanile (per godere della vista dall’alto), il suo socio non capisce perché. Per Ray non ha senso fare tanta fatica dato che la panoramica della città si ha già anche dal basso. Il caratterista di Farrell non subisce il fascino dei dipinti gloriosi, delle sculture oscure o dei canali pittoreschi.
L’uomo, al contrario, si accende di entusiasmo quando capita su un set di un film, dove incontra due personaggi affascinanti. Prima vede la bionda accattivante Chloé (Clémency Poésy, la Fleur Delacour in Harry Potter e il calice di fuoco). Poi si imbatte in Jimmy (Jordan Prentice), un uomo affetto da nanismo che figura in una sequenza onirica. Ray attraversa avventure compromettenti che lo rendono vivo, invece Ken si lascia più semplicemente andare al fascino della vecchia città. Lungo la strada per entrambi gli uomini ci sono attimi di grande tristezza e ferocia, momenti di abbandono e di leggera stupidità.
Protagonista assoluto del lungometraggio è l’umorismo, il quale cresce assieme ai suoi personaggi e alle loro osservazioni sulla realtà circostante. Nella sua interpretazione Farrell da il meglio di se, questo perché McDonagh gli permette di rilassarsi tirando fuori il suo lato irlandese, quello spontaneamente spiritoso. Nel caso di Gleeson, dai tempi di The General, si capisce che nessuno può rendere simpatico uno feroce tanto quanto lui. Ma il vero punto di forza di InBruges è la capacità di aver saputo riunire tutti questi destini nello stesso momento e in un unico luogo.
La noia e l’attesa generano storie incredibili
McDonagh ha raccontato che l’ispirazione per fare il film gli è arrivata in seguito a un’esperienza provata di persona. Il riferimento è al periodo in cui è rimasto bloccato a Bruges per un periodo prolungato. Nel suo vissuto la cittadina, considerata il cuore delle fiandre, ha una storia affascinante intrisa di un passato medievale e rinascimentale. Ma se ci si soggiorna più del tempo di una vacanza, passate le attrazioni culturali, entra in gioco la noia. Ed è in questo frangente che subentra la penna autoriale di McDonagh, fautore di uncinema peculiare e profondo.
Il regista ha la capacità di trasformare abilmente una realtà particolare in un sentimento universale. Come per esempio si vede in un suo film successivo, Gli spiriti dell’isola. Qui la battaglia privata tra due individui diventa la metafora delle guerre più grandi che si fanno per motivi stupidi. In In Bruges opera con questi stessi principi. Questa sua visione gli ha permesso di immaginarsi la lotta tra la bellezza storica e la vivacità che costituisce in generale la vita odierna. Non è quindi accidentale che la “Venezia del nord” rappresentata dal film-maker, sebbene suggestiva, risulti fredda, mesta e con scorci sovraccarichi di tedio. Da una parte ha voluto rendere omaggio al passato di bellezze (attraverso lo stupore continuo di Ken). Dall’altra ha invece inserito il presente frenetico della realtà contemporanea nel personaggio di Ray. In qualche modo la meraviglia del primo e il disgusto del secondo esistono in ogni scatto.
A riprova di quanto detto sopra, i paesaggi invernali nebbiosi sono ritratti con una dolce malinconia. Questi sentimenti hanno guidato il britannico a creare i suoi personaggi, ipotizzando anche due figure che hanno opinioni differenti su ogni cosa. Si è detto che l’umorismo brillante rende il film più facile da leggere. Se però si guarda oltre si scorge un lavoro ricercato, ricco di simbolismi e di idee profonde.
Il purgatorio come punizione esistenziale
L’aspettare il giudizio in una terra sconosciuta è un tema comune nella letteratura irlandese. Similmente a quanto accade in un’opera teatrale di Beckett, Aspettando Godot, inIn Brugesi protagonisti si trovano in un posto che non conoscono. Ray e Ken ricordano due personaggi del grande romanzo beckettiano; come Vladimir ed Estragon pazientano per qualcosa, ma l’attesa è pensata per essere torturante. Non stanno aspettando Godot ma la telefonata di Harry, e dalla suddetta dipende il successivo corso delle cose.
La cittadina belga è il simbolo del purgatorio. Sono intrappolati in una realtà in attesa del loro inevitabile destino. Questo è accennato più volte nel corso del film. Quando i due uomini visitano un museo, si imbattono nel dipinto L’Ultimo Giudizio di Hieronymus Bosch. Il dipinto genera una serie di pensieri esistenziali. Nella discussione che ne segue arrivano a definire il purgatorio come uno spazio intermedio, né un bugigattolo né un luogo davvero così grande. Nel film, Bruges da un lato è raffigurata come una città deliziosa e favolistica, dall’altro come un luogo minuscolo e cupo.
Il senso di colpa come chiave di lettura
I personaggi di In Bruges sono rappresentati nel modo più ricco possibile. McDonagh è uno studente della natura umana a tutti gli effetti. Ray ogni tanto appare felice, in alcuni attimi lo si vede sorridere o divertirsi, ma il senso di colpa lo riporta velocemente allo stato depressivo. Prima di fare una serata fuori si osserva allo specchio, l’espressione facciale che fa è triste. La mattina seguente a un’altra nottata di bagordi si sveglia in uno stato mentale abbattuto, e inizia a piangere silenziosamente. L’artefice di tutto ciò è il senso di colpa per quel bambino ammazzato per sbaglio. Quindi il protagonista in questione deve scegliere se continuare questo inferno in terra o se mettere fine a tutto.
Il lungometraggio desidera scavare sul significato del senso di colpa. Nel lavoro del regista è chiaro che questo stato emotivo attanaglia paralizzando e mettendo fine ai piaceri quotidiani. Non si sa se una punizione possa essere la soluzione per sbarazzarsi del senso di colpa. O se provare questo sentimento possa aiutare a cambiare in meglio. Su questa domanda si innesta tutto il film. È esattamente il conflitto che mette i due amici uno contro l’altro. Se il boss pensa che il personaggio di Farrell debba morire, l’alter ego di Gleeson suppone che meriti una seconda possibilità. Come se il cineasta abbia voluto mettere la vita del caratterista di Ray nelle mani degli altri due protagonisti. La lettura filmica sembra portare al fatto che il giovane sia senza voce in capitolo ma Kensia presente per essere il suo angelo custode.
Questo è uno dei più efficaci film sul senso di colpa, con tutte le sue sfaccettature e conseguenze possibili. La narrazione di McDonagh afferma che tale stato d’animo può portarci negli angoli più bui della mente fino a scardinare ogni parte di noi e della nostra storia. In Bruges è un’ analisi unica, lucida e brillante soprattutto perché mette in luce, attraverso la fragilità della vita, l’umanità che c’è in ognuno di noi.