“Chant d’hiver” di Otar Iosseliani, film-testamento di un grande Maestro
Sabato 15 marzo a Bergamo, circa un anno dopo l’analogo evento svoltosi nella capitale, si ricorda l’immenso regista georgiano attraverso il suo ultimo lavoro cinematografico
Otar Ioseliani ci ha lasciati nel dicembre 2023. Prima aveva avuto modo di tracciare un solco importante nella Storia del Cinema, seminando tra la vecchia Unione Sovietica, la sua Georgia e la Francia immagini e storie dal timbro inconfondibile. Un universo a se stante, potremmo anche dire, nel quale ad avere diritto di cittadinanza sono un profondo umanesimo e una sottile ironia, le montagne del Caucaso e i bistrot parigini, lo spetto della guerra e un insopprimibile istinto vitale, l’eleganza dei gesti e una delicata misura nelle parole, la volatilità del Caso e il ben più solido appiglio fornito dal Vino.
Dalle nostre parti non si è fatto poi molto per ricordarlo. Poco più di un anno fa presso la capitolina Casa del Cinema, con un cineasta, studioso nonché amico del Maestro stesso quale Carlo Hintermann a presenziare in sala quale co-organizzatore dell’evento, era stato finalmente proiettato sul grande schermo l’ultimo, misconosciuto capolavoro di Iosseliani: Chant d’Hiver (2015), pressoché ignorato a suo tempo dalla sempre più pigra distribuzione italiana. Ora il film viene riproposto all’interno della retrospettiva che il 43° Bergamo Film Meeting dedica all’autore, sabato 15 marzo ore 14.45 presso l’Auditorium di Piazza Libertà. Si tratta, neanche a dirlo, di un appuntamento imperdibile per tutti i cinefili!
Un inverno che è eterna primavera
Verrebbe spontaneo definirlo un film-testamento, ma al netto di quelle scorie di malinconia depositate inevitabilmente dal tempo e dell’attenta osservazione delle disgrazie umane, Chant d’Hiverè opera cinematografica che sorprende tanto per la sua coerenza con la poetica dell’autore che per la sua giocosità, per quella freschezza di linguaggio che tanti film-maker contemporanei più o meno giovani se la sognano. L’andamento della narrazione è rapsodico. Come lo era stato del resto in altre occasioni. Nell’ineffabile prologo assistiamo in un clima da “terrore” parigino all’incontro con la ghigliottina dell’aristocratico di turno, la cui aria beffarda e sardonica introduce però una prima nota dissonante. Ancora una volta, come verrà confermato nel prosieguo del film, fatti di per sé tragici vengono osservati e messi in scena con un timbro decisamente ironico, etereo, disincantato. Tale impronta vi è pure nel “quadro” successivo, ossia il caleidoscopico ritratto di un conflitto armato in anni a noi più vicini, che è lecito supporre abbia luogo in qualche territorio dell’Europa Orientale, laddove pur crudele e spietata la rappresentazione della guerra assume coloriture grottesche e forme stilizzate. Ulteriore volo pindarico, dal fronte ci si sposta con un escamotage di nuovo in Francia, paese d’elezione del regista georgiano, presso il quale assisteremo al segmento narrativo più lungo e corposo: una pittoresca, picaresca sarabanda, che vede all’opera ladre acrobatiche e Baroni spiantati (strepitosa ed emozionante, qui, la partecipazione attoriale di Enrico Ghezzi), piccole artiste in erba e ombrosi malviventi, anziani con un sapere più radicato della massa che li circonda ma oltremodo testardi, interpreti transalpini di grande spessore (Mathieu Amalric, Tony Gatlif) e qualche attore georgiano meno conosciuto da noi ma altrettanto bravo.
Le imprevedibili meccaniche di una “cronologia del caso”
Un po’ come nei suoi lungometraggi di finzione più suggestivi, su tuttiI favoriti della luna (1984) eAddio Terraferma (1999), Ioseliani in Chant d’Hiver si diverte a intrecciare tra loro le vicende dei personaggi, a pedinare il passaggio di mano degli oggetti, a seguire persino il destino postumo di teste rotolate dalla ghigliottina. Il tutto in una Parigi al contempo concreta e onirica, surreale, dove umoristicamente si sfiora addirittura il senso (il)logico di un cartoon d’oltreoceano, allorché un clochard viene schiacciato accidentalmente da un rullo compressore e la sua sagoma appiattita viene fatta passare tranquillamente sotto una porta. Lo humour e le soluzioni stranianti che caratterizzano tutto il racconto, però, non annullano ma semmai amplificano, pur attraverso la prospettiva sghemba, immaginifica e iperrealistica cristallizzata in ogni singola inquadratura, quell’impressione di profonda empatia nei confronti del genere umano che il cinema del Maestro georgiano non cessai mai di trasmettere.