Uno sguardo ai risultati del box office del 2024 e ci si rende conto di come l’originalità sia sempre meno presente. Si parte dal sicuro, si parte dal già noto: l’autonomia narrativa non esiste. E il nuovo film dell’universo narrativo tolkeniano non fa eccezione, fin dal titolo: Il Signore degli Anelli – La guerra dei Rohirrim cerca di rinnovare un mondo vecchio, riuscendoci solo in parte.
Il film, diretto da Kenji Kamiyama (noto regista di anime, già collaboratore per gli effetti della trilogia di Jackson) e prodotto sotto la direzione della navigata Philippa Boyens, si concentra sulla storia che ha dato il nome al fosso di Helm. La protagonista è Hèra (Gaia Wise), la figlia del re di Rohan Helm Brandimartello (Brian Cox), che si ritroverà a guidare il popolo dei Rohirrim in una guerra contro i Dunlandiani, guidati da Wulf (Luke Pasqualino), in cerca di vendetta. Gli scontri inizieranno nelle campagne di Rohan, ma costringeranno i Rohirrim a spostarsi fra le montagne dove i nemici condurranno un assedio interminabile.
Bipolare. Questo film sembra bipolare, per vari aspetti. Prima di tutto, la narrazione: la prima parte è molto avventurosa, movimentata, con un ritmo incalzante. La seconda rallenta in maniera brusca: da quando ci si sposta nel (futuro) fosso di Helm, tutti i conflitti si congelano sotto la tempesta invernale che imperversa sui personaggi. La sceneggiatura, che negli intenti produttivi avrebbe dovuto concentrarsi sulla parte dell’assedio, è molto più interessante nell’atto iniziale. Le idee originali de Il Signore degli Anelli – La guerra dei Rohirrim non sono ben distribuite; c’è un accumulo nella prima parte, poi solo qualche spunto nella seconda. Questo comporta anche un approfondimento limitato per elementi molto interessanti, tralasciati e sostituiti dal monotono assedio.
Novità, ma fino a un certo punto
La protagonista femminile è uno degli aspetti innovativi de Il Signore degli Anelli – La guerra dei Rohirrim. Hèra è un personaggio al passo con i tempi: una donna forte, ribelle in un mondo che non vuole considerarla abbastanza. In un certo senso, prosegue quei tentativi passati di pareggiare la predominanza maschile fra i protagonisti dei mondi tolkeniani, in cui mancano personaggi femminili. Nei film di Jackson, Galadriel, Éowyn e Arwen sono eccezioni in opere che, comunque, non le vedono centrali. Nella trilogia de Lo Hobbit, Tauriel era un personaggio non necessario, inserito per allungare la storia. Infatti, non è piaciuto: come non piace Galadriel di Rings of Power, personaggio molto discusso per la sua caratterizzazione poco approfondita. Al contrario, Hèra cambia questa tendenza: è un personaggio più complesso, ribelle nei confronti delle regole del suo popolo, per il quale, però, darebbe la vita. È adolescente e matura allo stesso tempo. E, soprattutto, non è sola: sono le donne a salvare il regno di Rohan, anche se poi verranno dimenticate.
Perciò, declinazione al femminile: di conseguenza, la voce narrante è quella di Éowyn (Miranda Otto). Impostazione narrativa simile a quella dei film di Jackson, in cui Galadriel introduce la storia. Questa scelta non è l’unica idea derivativa nei confronti della trilogia cult. Si riprendono anche i temi musicali, senza nessuna modifica, e l’estetica in scenografie e costumi. Addirittura, Kamiyama ripropone alcuni tipi di inquadrature che hanno fatto scuola. Il problema è che poi non si fa molto altro. L’animazione, che dovrebbe essere il punto davvero innovativo e centrale di questa produzione, sembra non necessaria. Dovrebbe essere uno strumento per sprigionare la creatività, ma sembra limitata nei confronti della regia di Peter Jackson. Ne Il Signore degli Anelli – La guerra dei Rohirrim non c’è mai un momento in cui si esaltano gli eserciti, le battaglie, i paesaggi, che invece venivano valorizzati nel live action. È paradossale. Ed è uno spreco.
Il Signore degli Anelli – La guerra dei Rohirrim è troppo derivativo
Forse servivano più soldi, forse serviva più tempo. La sensazione, però, è che dal punto di vista formale sia mancato il coraggio. Per questo Il Signore degli Anelli – La guerra dei Rohirrim sembra bipolare. Da un lato si cerca l’innovazione, con la scelta di una protagonista femminile forte (anche se forse ormai si vedono parecchie eroine in giro) e quella di utilizzare l’estetica degli anime. Dall’altro ci si adegua a un’altra estetica, con modifiche che ne riducono potenza ed efficacia spettacolare. Si sente ancora il bisogno di restare vicini al capolavoro di Jackson, anche con riferimenti a personaggi della trilogia che non servivano. Attendiamo di scoprire a cosa porteranno, ma per ora resta solo a una svalorizzazione di questo film. Come se non si riuscisse a fare qualcosa di nuovo senza mettere qualcosa di vecchio.
Il titolo è una dichiarazione di intenti. Anche con Il Signore degli Anelli – La guerra dei Rohirrim si vuole realizzare qualcosa come Il Signore degli Anelli. Il risultato, però, è che da un lato si alza l’asticella, per cui tutti i prodotti dovranno confrontarsi con i film di Jackson; dall’altro, si adatta ogni cosa a quelle storie, a quei film, a quel cinema, senza la possibilità di una reale innovazione. Mancano originalità, vitalità in un universo narrativo che fa della diversità la sua caratteristica più affascinante: la scelta di utilizzare una donna come protagonista non è sufficiente.