Rome International Documentary Festival

‘Happiness to all’: chi vota per Vladimir Putin?

Un ritratto personale e un’ osservazione sociale della genesi del nazionalismo moderno

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Happiness to All è la vita in video-blog di Vitaly e della sua famiglia, che sopravvive sopra lo spettro della grande Unione Sovietica colpevole di aver abbandonato i suoi figli alla deriva del mondo occidentale.

È ritratto personale e osservazione sociale della genesi del nazionalismo moderno, delineando un quadro tra il ridicolo e l’inquieto della Russia contemporanea più profonda.

Presentato al Jihlava International Documentary Film Festival, il documentario di Filip Remunda diventa indagine sociologica e fotografia documentale della società russa in un momento cruciale della sua storia.

In concorso internazionale al Rome International Film Festival.

Com’era meravigliosa la vita nell’Unione Sovietica

Vitaly ha cinquant’anni e vive in Siberia. È laureato in fisica ma fa il muratore.  Spacca con la testa lastre di ghiaccio e per sport nuota in mutande nel ghiaccio siberiano.

Happiness to All ci fa osservare la sua vita nel corso di otto anni (2016-2024), facendo diventare Vitaly, orgoglioso elettore putiniano legato a quell’idea di URSS come “il paese più libero del mondo”, tornasole delle correnti ideologiche che hanno plasmato la Russia post-sovietica, in costante oscillazione tra nostalgia e disillusione.

Seguiamo così Vitaly per anni: mentre si sposa, nuota tra il ghiaccio con la madre o documenta la sua vita in un videoblog, un miscuglio a tratti pericoloso tra radicalismo e umorismo grottesco.

Vitaly non è una presenza benigna allo sguardo: è violento, scattoso. Incute un terrore strano, a metà tra la paura e la pena. Mette a disagio nelle sue attività costantemente a petto nudo nella neve, come il suo padre politico Putin.

Sotto forse ci si vuole rivelare come un inetto e un perdente alla vita: persa la casa, il lavoro, l’orgoglio del padre o della madre. Ma sono le ingiustizie sociali a renderci mostruosi? O è forse più una concomitanza di ideologie, punti di riferimento persi o irraggiungibili, falsi miti (come quello della gopro che ci collega al mondo e ci fa accettare da esso, o come il presidente Putin che ci ascolta) e tanto tanto freddo?

Vitaly non è semplicemente un prodotto delle sue tragedie: in Happiness to All diventa figura che incarna l’intersezione tra fallimenti personali, miti politici e ingiustizie sociali.

Non è solo un complesso infantile

La storia di Vitaly è la storia che accomuna tutti i neo-nazionalisti nel mondo: è una storia di abbandono, sopruso sociale e senso di inferiorità.

Scoprire della morte per overdose del fratello, della perdita della casa e del lavoro non rendono i suoi atti meno violenti ma più disperati.

Non è giustificato dal suo passato ma è incluso in uno schema preciso e predelineato. Riconoscibile.

Conferma l’immaginario della nuova banalità del male: un nazionalismo che nasce da luoghi ove il malcontento e la violenza sono state le reazioni primarie alla catastrofe del contemporaneo.

Happiness to All è un film provocatorio, capace di scuotere lo spettatore con il suo ritratto crudo di un uomo e di una società in bilico. Vitaly, nella sua complessità, non è né  eroe né antieroe: è prodotto di un sistema fallito.

C’è sotto sotto un’intelligenza viva ma sommersa in lui. Vitaly, ad esempio, si oppone alla guerra contro l’Ucraina, che considera priva di senso, ma la sua visione rimane contraddittoria: pur disprezzandola, si sente obbligato a combatterla per un’idea di Russia che continua però puntualmente a tradirlo. Una lotta più ampia tra idealismo e realtà, tra la ricerca di un nemico esterno e il peso di fallimenti interni.

Il sonno della ragione che genera mostri.

Segui il Rome International Film Festival 2024 su Taxi Drivers.

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