Trieste Science+Fiction Festival

‘Things will be different’: essere prigionieri del tempo

Published

on

Presentato al Trieste Science Fiction, Things will be different di Michael Felker parla di un viaggio nel tempo e nello spazio, ma parla soprattutto della relazione tra due fratelli che dovranno trovare la chiave giusta per tornare a quello che dovrebbe essere il loro mondo. Il punto che unisce i due mondi è una tavola calda legnosa illuminata da una luce calda che svanirà presto nel buio grigiastro di un cielo terso in una fattoria misteriosa. Sarà proprio questa fattoria il set principale del film, il limbo in cui si trovano intrappolati i due fratelli, criminali in fuga, prigionieri di un tempo che vede le lancette dell’orologio retrocesse.

Dopo il cult Ritorno al futuro, la romantizzazione del viaggio nel tempo in Question of time (2013), Un amore all’improvviso (2009)  o l’incursione del viaggio nel tempo nella fantascienza in Arrival (2016), Interstellar (2014), Things will be different inserisce il viaggio nel tempo in un genere ibrido tra il thriller, l’horror, la fantascienza e il melodramma.

Una scena di Things will be different

Due fratelli sotto attacco

Le due voci al telefono che si sentono mentre scorrono i titoli di testa sono quelle dei protagonisti, i due fratelli Joseph e Sidney, il cui rapporto viscerale è tra gli elementi più riusciti del film. Le interpretazioni dei due attori Adam David Thompson e Riley Thomson sono molto fisiche, diverse le scene di combattimento e la loro sintonia è tangibile. Oscure presenze si aggirano intorno a loro tra la nebbia, dovranno sempre guardarsi le spalle. Raramente il rapporto tra fratelli è così centrale in un film, un esempio recente è Parthenope di Sorrentino.

Things will be different è un bell’esempio di come un film riesca a caratterizzare i suoi personaggi non solo grazie al sostegno di una buona sceneggiatura, che è forse il punto dolente del film, ma attraverso l’uso del mezzo cinematografico a 360°, coinvolgendo nel processo ponderate scelte di regia e un montaggio a regola d’arte che dirige il ritmo coinvolgente del film.

Time isn’t kind to the displaced

Un puzzle da ricomporre

Lo spettatore si sente partecipe, è a lui che il regista chiede di mettere insieme i pezzi disseminati del suo prisma narrativo. La trama si svolge come all’interno di un percorso labirintico in cui gli sperduti fratelli troveranno prove da superare a ogni angolo. Il pericolo in cui purtroppo incappa è proprio quello di perdersi mancando una coesione credibile. A questa lacuna nella sceneggiatura compensa l’apparato tecnico del film. Sulle spalle del montaggio c’è il compito di rendere fluido l’attraversamento dei portali temporali ed è un processo che fa in maniera sorprendente. Come in A Quiet place, il suono da solo riesce a creare tensione grazie a un uso ridotto della musica extradiegetica e a un enfasi dei piccoli impercettibili rumori del bosco o della fattoria dove si ambienta la maggior parte del film.

La fattoria, che si intravede anche nei quadri della tavola calda dell’inizio, è questo luogo di transito tra due epoche che è a metà strada tra la realtà e l’immaginazione, perso tra le sconfinate pianure di un America solo accennata.

Exit mobile version