Fa da titolo una delle tante frasi incoraggianti pronunciate dal direttore del Festival Jay Weissberg, che riscaldano l’atmosfera nel foyer del Teatro Verdi, a Pordenone. La causa?
E’ stato presentato il programma delle Giornate del Cinema Muto, ovvero del Pordenone Silent Film Festival 2024, durante la conferenza stampa tenutasi il 25 settembre 2024, ore 11.30 di mattina.
Un breve articolo scritto di pancia per un Festival che tocca uno degli snodi umani più profondi: il triello tra passato, presente e futuro.
Giuliana Puppin dell’ufficio stampa delle Giornate del Cinema Muto ci introduce al direttore del Pordenone Silent Film Festival, Jay Weissberg (che ricorda nel suo discorso il freschissimo Leone d’oro “The Room Next Door” di Pedro Almodovar, alludendo ad una sequenza in particolare in cui emerge la potenza del Cinema muto, anche, e forse soprattutto, nei momenti più dolorosi della vita di uno spettatore), ricordandoci che “ […] il passato non è una cosa morta. Dovremmo andare oltre le considerazioni estetiche”, e tra un sorriso e l’altro, visibilmente eccitato e fiero, ci mostra una panoramica che andrà a comporre il mosaico programmatico di quest’anno.
“Il Cinema è combinazione di psicologia ed assurdità.” afferma poi l’assessore Mario Anzil, dopo aver esaudito con un bellissimo monologo sulla responsabilità culturale di una città riguardo all’omeostasi psicofisica dei propri cittadini. Un pensiero magnifico. Un connubio tra ciò che l’individuo vive costantemente per le strade della propria città, e il suo conseguente sorriso riguardo a ciò che vede oppure no (si sente l’ eco di James Hillman e l’estetica della bellezza, secondo cui l’uomo è rivolto alla felicità o alla tristezza relativamente alle più piccoli azioni, talvolta inconsce, di ogni gesto quotidiano).
Un grande omaggio del Festival poi rivolto a nomi quali Ernst Lubitsch, che nella sezione Classici ritorna sul grande schermo con “Three women”, del 1924; immancabile poi Robert Wiene, che con il suo adattamento di Delitto e castigo, Raskolnikow, del 1923, verrà proiettato accompagnato da una partitura originale di Richard Siedhoff eseguita dal vivo, con il pianoforte.
La parola poi passa a Marco Fortunato, Presidente dell’associazione culturale Cinemazero, che si dimostra entusiasta per l’ennesima collaborazione pluriennale con la Zerorchestra (ricorda in particolare la proiezione di “Girl Shy”, pellicola del 1924 diretta da Fred Newmeyer e Sam Taylor, interpretata da Harold Lloyd e reinterpretata musicalmente dal giovane musicista olandese Daan van den Hurk assieme alla Zerorchestra, il 10 ottobre 2024 al Teatro Zancanaro di Sacile), e speranzoso che questa, come tutte le altre edizioni, possa dare grandi slanci culturali alla città e possibilità a giovani talenti internazionali di performare musicalmente.
Un pizzico d’amarezza lo aggiunge Piero Colussi, che ricorda come negli anni il Festival abbia incontrato momenti difficili, e qualche compagno sia stato perso durante il tragitto; nonostante questo, però, tra una risata e l’altra, si dà e ci ridà coraggio, ricordando che comunque l’intensità e l’importanza artistica e culturale del Festival, non abbiano mai deficitato di linfa vitale, e che forse, l’amarezza, anche nella felicità, a volte è necessaria.
Un bell’insegnamento orientaleggiante.
SAXOPHON-SUSI (Miss Saxophone) (DE 1928) di Carl [Karel] Lamač
Un bell’insegnamento orientaleggiante. Un po’ di pragmatismo: le Giornate viaggeranno dunque attraverso le frontiere dell’America Latina (con ben dieci film, insabbiandoci un po’ la mente di una Letteratura di confine, oltrepassamento, passi e contrappassi danteschi, sempre ricordati da Mario Anzil), passando per l’Uzbekistan (grazie alla collaborazione con varie cineteche ed istituti di preservazione del Paese), e giungendo anche alle steppe demoniache e visionarie di Carl Theodor Dreyer (di cui tra i classici verrà presentato Pagine dal libro di Satana, 1921, sua seconda regia).
GIRL SHY (Le donne… che terrore, US 1924) di Fred Newmeyer e Sam Taylor
Ci aspettiamo presto di salire su un treno internazionale, un Orient Express che vada oltre il tratto solito Venezia-Parigi (o insomma strettamente europeo), un Polar Express potremmo dire, che passa immancabilmente però attraverso guerre europee, conflitti medio-orientali e crisi globali d’apparenza infinita, ma ci aspettiamo anche che questo viaggio riuscirà a ridarci speranza (senza vuoto buonismo, ma anzi, colmo di un’affettuosa sincerità assimilabile alla faccia sorridente di Chaplin in The Kid, 1921), di eliminare (anche per la durata di un solo cortometraggio) un presente spaventoso, e riuscire nel miracolo, che solo l’Arte sa fare, della ricostruzione totale del nostro presente (quasi nietzschianamente, a colpi di martello), attraverso l’incrocio di sguardi tra noi e gli attori del passato su quello schermo.
In quello sguardo, riconoscendoci nel sorriso perso di Buster Keaton, e negli occhioni luccicanti di Lillian Gish che ritroveremo, e nel mitico volto di un giovanissimo Gary Cooper, rivedremo riposte tutte le nostre speranze.
E’ dunque il carburante di ogni anno quello sguardo. Per il cittadino più perso. Per il nostro vicino di casa solitario che vediamo rientrare ed uscire ogni giorno alla stessa ora. Per gli innamorati e i casanova serali. Per chi è felice a passeggiare solo per le vie della città, o con qualcuno accanto. Per tutti noi, perché di sguardi rivolti al passato, che diano una mano al presente e ci proiettino brillantemente sul balcone del futuro, ce n’è sempre bisogno.
“Ho una visione molto pessimistica del futuro: ogni volta che vedo le news vorrei avere accanot uno psichiatra.”
(Roman Polanski)