Angela Norelli si muove tra fiction e archivio nel corto, da lei scritto, diretto e montato, We Should All Be Futurist, in gara al Ca’ Foscari Short Film Festival. Il progetto ha anche vinto il Premio per il miglior contenuto tecnico alla Biennale di Venezia 2023: Settimana della Critica. L’autrice, inoltre, è stata anche montatrice de Le variabili dipendenti, vincitore nel 2023 del David di Donatello come miglior cortometraggio.
We Should All Be Futurist – Perché dovremmo essere tutt* futurist*?
Con un titolo di richiamo a We Should All Be Feminist di Chimamanda Ngozi Adichie, la regista del Centro Sperimentale di Cinematografia dà forma (partendo da una trentina di diversi film muti) a questo collage ironico su come due donne tra gli anni ’10 e ’20 riescano a ribaltare le imposizioni dei loro mariti diventando anch’esse ‘futuriste’.
La storia inizia con una lettera che Rosa invia all’amica Giorgina1 per confidarle l’andamento delle sue cure per l’isteria e come ne stia ricevendo piaceri inaspettati. In risposta, Giorgina rimarca come il proprio marito sia diventato vittima della mania futurista per la velocità e i macchinari, ammettendo di sentirsi trascurata, forse quasi sostituita nel matrimonio da Marinetti stesso. Da qui grazie alla solidarietà delle due si troverà il modo per uscire da queste bizzarre crisi coniugali: gli uomini aspettano il futuro, mentre le donne ne fanno già uso in casa.
“Ti accorgerai di sovente che le macchine sono più efficienti degli uomini in carne ed ossa” 2
Sfruttando tempi in cui il cinema non era ancora censurato, ci vengono proposte scene che raramente avremmo potuto vedere senza accedere agli archivi. Parlando con la regista, nell’intervista di Taxidrivers, di cosa si potrebbe recuperare dal passato: “[Riprenderei] quella genuinità. Oggi il sesso e il desiderio femminile rimangono un grandissimo tabù e spesso quando si racconta delle donne, che magari provano desiderio e raggiungono dei risultati, queste vengono ritratte sempre come particolarmente brillanti o mostruose”.
L’autrice afferma, poi: “Io volevo raccontare le donne e, quindi, la condizione femminile, senza però fare un documentario di denuncia classico. […] Io trovo che l’ironia sia anche una grande arma politica: lo sguardo ironico è uno sguardo critico e lo sguardo critico è sempre uno sguardo politico”.
Così Norelli ci mostra con leggerezza, ma non con superficialità, gli avvilenti trattamenti psichiatrici femminili a inizio Novecento e due versioni alternative di Anna O.: queste donne sono in grado non solo di sovvertire le smanie e manie dei loro mariti (i veri soggetti malati della storia), ma anche di smontare il movimento futurista, quasi sperando nella sostituzione meccanica grazie a cui si risolverà l’inettitudine maschile.
Nonostante siamo spesso abituat* a subire la cultura passivamente come qualcosa di immutabile che ci arriva dal passato, le eroine del corto ci confermano, invece, come “Non è la cultura a fare le persone, ma le persone a fare la cultura”. 3
1I nomi sono ispirati all’autrice e alla protagonista del romanzo La donna con tre anime, di Rosa Rosà, scritto in risposta a Come si seducono le donne, di Filippo Tommaso Marinetti
2Cit. dal cortometraggio
3Cit. da We should all be feminist, di Chimamanda Ngozi Adichie