Sin dalla sua “ouverture” iniziale, American Symphony… di Matthew Heineman non si limita ad esplorare la musica di Jon Batiste, musicista premio Oscar (co-compositore della colonna sonora di Soul), ma offre uno sguardo intimo sulla crescita personale, professionale e artistica del compositore, all’apice della sua carriera, in contrasto con “l’uomo” e il dramma familiare della sua vita privata.
“Fin da bambino ho sempre creato cose. La mia mente crea cose continuamente. Diventa sempre più un meccanismo di sopravvivenza col passare degli anni. È il mio modo di elaborare quello che mi accade”
La forza del documentario risiede nella capacità di Heineman di tradurre l’esperienza musicale di Jon Batiste in immagini vibranti, grazie ad un montaggio frammentato e dinamico che perfettamente riesce a fondere le due dimensioni della trama: il processo creativo di Jon Batiste nella composizione della sua American Symphony, mentre la sua compagna di vita, la scrittrice Suleika Jaouad, (dopo dieci anni di remissione) scopre di essere di nuovo affetta da leucemia.
American Symphony: andare oltre i canoni codificati
Famiglia – Libertà – Fede sono questi i tre poli che muovono il musicista nella composizione delle sue partiture per smantellare i pensieri forti che vedono le persone nere ingabbiate in rigide categorie e narrazioni stereotipate solo per il colore della loro pelle. È qui che la sua American Symphony svela il suo scopo, facendo riflettere lo spettatore sul vero significato della musica, nella sua connessione con l’universo e con l’Altro.
Andare oltre il colore della pelle per superare le banalizzazioni, cercare di comprendere l’Altro, la sua arte, la sua poetica anche se non rispecchiano un canone codificato, come inserire una composizione classica in un album “pop”. Provocazione artistica che il regista riesce a tradurre in un’accusa non tanto velata a certa parte di critica americana che non riesce ancora a concepire la mescolanza di stili e generi diversi dal Jazz, all’R&B, alla musica colta, capaci di trasformare le note in linguaggio universale, etichettando questo versatile artista come “pop star commerciale”, alla stregua di un prodotto dell’industria culturale contemporanea.
La posta in gioco è alta per Batiste e la sua American Symphony che da sinfonia si fa elegia, con una partitura in continuo movimento, armonie familiari e malinconiche che diventano sceneggiatura della vasta gamma di sentimenti, delle ansie e delle gioie contrastanti vissute dal suo compositore. Un processo di catarsi che culmina nella performance alla Carnegie Hall, momento significativo in cui si esplica il messaggio del documentario di Heineman: nella musica ritroviamo la storia e il futuro dell’America (e del mondo) che convivono, una nuova alba, una nuova speranza.
Arte come elaborazione delle emozioni
La musica è il perno principale sul quale si snodano le inquadrature frammentate, i particolari sui volti di Jon Batiste e di Suleika, nei piccoli scambi intimi della coppia e del dramma personale, un particolare nell’universale.
“Io e Jon condividiamo un linguaggio creativo. Per entrambi la sopravvivenza è un ritratto creativo a sé stante. È ciò che ci aiuta ad alchimizzare le diverse cose che emergono dalla vita per provare a trasformarle in qualcosa di nuovo. Qualcosa di significativo e perfino bello”
L’artista e l’uomo sono sul palco. “Voglio dedicare questo a Suleika”. Pausa lunga. Gli attanti sono in silenzio, pronti ad accogliere. Heineman stringe prima sul volto di Jon Batiste, poi sul particolare delle dita in procinto di toccare note più profonde di quanto ci si possa aspettare. Vediamo l’emozione arrivare sul viso del musicista, occhi chiusi, serrati mentre suona, cercando di elaborare le emozioni in quell’atto performativo.
In questa scena riusciamo a comprende appieno le parole di Suleika: arte come linguaggio creativo, espressione e forma di sopravvivenza per elaborare quelle particolari emozioni umane che difficilmente siamo in grado di esprimere a parole.
It Never Went Away in lizza come miglior canzone originale
Arte, musica, cinema e vita si fondono in un tutt’uno nel documentario di Heineman (A Private War, Retrograde, The Boy From Medellin) che ci chiede di andare oltre il classico impianto del biopic autocelebrativo per lasciarci guidare dalle sonorizzazioni dei sentimenti verso la scoperta dell’uomo dietro uno degli artisti più consapevoli nel panorama musicale contemporaneo.
Il film è stato candidato ai premi Oscar 2024, nella categoria miglior canzone originale con “It Never Went Away”, un brano scarno, pianoforte e voce, dalla tessitura semplice ed immediata giocata sulla dicotomia dei sentimenti in un crescendo di emozioni che diventano, al contempo, urlo disperato e inno alla vita.
Clicca qui per il trailer di American Symphony: Jon Batiste.