Tra i premi più importanti del Trieste Science + Fiction Festival 2023 vi è senz’altro il Premio Méliès d’argent – Lungometraggi: tale concorso è organizzato in collaborazione con la Méliès International Festivals Federation (MIFF) ed è riservato ai lungometraggi di genere fantastico di produzione europea. La Giuria 2023 del premio Méliès d’argent ha visto la partecipazione di Hedda Archbold, produttrice, agente e amministratore delegato dell’agenzia HLA, Paul Sophocli, sales executive per Lionsgate e Linda Ruth Williams, docente di cinema dell’Università di Exeter.
Quest’anno il premio è andato a The Last Spark of Hope del polacco Piotr Biedroń.
Un premio che fa riflettere sul futuro
Non soltanto per le indubbie qualità della messa in quadro o per quella tensione narrativa che rimane costante, nonostante vi siano appena due personaggi in scena (di cui uno per giunta robotico), ma anche per la capacità di porre interrogativi sul futuro, l’incubo post-apocalittico del cineasta polacco Piotr Biedroń ha suggestionato molto anche noi. Leggiamo però con attenzione la motivazione del premio conferitogli a Trieste:
“La decisione della giuria sul film vincitore è stata unanime. Ci ha fatto rimanere sulle spine durante tutta la visione. Abbiamo amato il calore e l’umanità delle relazioni fra i personaggi principali. Ci ha spinti a riflettere sulle sfide che ci troviamo ad affrontare: la crisi climatica e ambientale, lo spettro di una pandemia globale, la crisi dei rifugiati, la crudeltà di una burocrazia Kafkiana e il modo in cui la complessità dell’Intelligenza Artificiale ci condiziona tutti. Nonostante tutto questo, il film commuove ed è, per di più, incredibilmente divertente, trovando l’elemento comico anche nella disperazione. Si tratta, essenzialmente, di un film sulla speranza. Scritto e diretto da Piotr Bedroń con maestria visiva e sensibilità, fotografato stupendamente da Tomasz Wojcik, montato con eleganza da Marceli Majer, e interpretato mirabilmente dai protagonisti Magdalena Wieczorek e Jacek Beler.”
Speranza o amaro disincanto?
Non ce ne vogliano i membri di una così qualificata giuria, ma se anche noialtri nel corso della visione siamo stati partecipi dello humour beffardo presente in più di una situazione, il discorso sulla speranza ci è giunto assai affievolito. Semmai, per quanto in The Last Spark of Hope un’idea di speranza faccia capolino sin dal titolo e anche le azioni della protagonista siano costantemente rivolte ad essa, è la regolare frustrazione di questo giustificato anelito ad esserci rimasta maggiormente impressa, complice la sostanziale ottusità di quell’intelligenza artificiale installata su un robot letale che, paradossalmente, dovrebbe vigilare sulla sicurezza della co-protagonista umana, Ewa, ma che finirà invece per propiziarne la definitiva e rovinosa caduta.
Senza “spoilerare” troppo su una trama che, nella sua linearità, tende comunque a regalare sorprese e piccoli colpi di scena, cominciamo col dire che protagonisti di questa sorta di “kammerspiel post-apocalittico all’aria aperta” sono per l’appunto Ewa, unica sopravvissuta accertata all’immane disastro che ha colpito la Terra, ed il robot pattugliatore Arthur, lasciatole in eredità dal padre scienziato (del resto i genitori non sempre sanno cosa sia meglio per i figli) per tenere in sicurezza la minuscola e isolatissima base dove la giovane donna ha trovato rifugio. Fino a un certo punto non ci saranno grossi incidenti nella solitaria routine di Ewa, che comunque con quell’intelligenza artificiale può continuamente dialogare. Sarà però sufficiente una leggerezza della ragazza riguardo alla password che regola le azioni del robot, per trasformare la presenza di chi dovrebbe proteggerla in una potenziale minaccia…
E di conseguenza anche le tipiche regole da “survivor movie” che avevamo appreso e codificato fino a quel momento si modificano, lasciando spazio ad una accelerazione parossistica della lotta, divenuta ormai disperata, per la sopravvivenza.
Singolare attualità della fantascienza polacca
Insomma, a margine della pur legittima speranza di vita della protagonista (condivisa naturalmente dal pubblico con grande empatia) abbiamo colto in fin dei conti un radicato, comprensibile pessimismo sull’eccessivo potere concesso dall’Uomo alla Macchina, specie in questi ultimi anni. D’altro canto vi è in Piotr Bedroń la capacità di creare, con un budget limitato, i presupposti di una fantascienza cinematografica che risulti avvincente, sul piano narrativo, propiziando anche qualche intelligente, salutare riflessione sulla direzione così pericolosa, in cui si sta incamminando da tempo l’umanità. The Last Spark of Hope si inserisce pertanto con toni brillanti sul solco di una tradizione, quella della science fiction, che in Polonia è sempre stata molto vitale, sia sul versante letterario che su quello cinematografico; e proprio riguardo a quest’ultimo dopo anni di stasi stanno ricominciando a concretizzarsi progetti interessanti, decisamente attuali, vedi ad esempio The Day I Found a Girl in the Trash di Michał Krzywicki, che trionfò un paio di anni fa al Fantafestival.