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Lo Schermo dell’arte si accende a Firenze, intervista a Silvia Lucchesi
A Firenze un ricco programma di cinema e arte contemporanea
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1 anno agoon
Tra arte e cinema su quel confine chiamato schermo. La sedicesima edizione dello Schermo dell’arte, per la direzione di Silvia Lucchesi, riporta a Firenze dal 15 al 19 novembre il suo ricco cartellone di eventi su cinema e arte contemporanea, proponendo una selezione della più recente produzione internazionale di film d’artista e documentari sull’arte. Oltre all’indagine sui linguaggi, sotto la lente d’ingrandimento del festival, come di consueto, un intreccio di temi socio-politici, ambientali, identitari. Più che necessità, autentiche urgenze, visto il dilagare di conflitti, emergenze climatiche e ingiustizie. Con l’arte a mediare, con media diversi, nell’avvicinare il pubblico al dibattito di attualità. Ne abbiamo discusso approfonditamente con la direttrice Silvia Lucchesi.
All’interno della 50 Giorni di Cinema a Firenze.
LO SCHERMO DELL’ARTE – SEDICESIMA EDIZIONE: IL PROGRAMMA
30 proiezioni, tra cui anteprime mondiali in presenza degli autori, ma anche incontri con artisti, curatori e ospiti internazionali. La sedicesima edizione dello Schermo dell’arte si svolgerà prevalentemente presso il Cinema La Compagnia di Firenze, come ogni anno, ma con altre sedi quali la Strozzina, l’Altana a Palazzo Strozzi, l’Accademia di Belle Arti e la New York University Florence. Il festival di cinema e arte contemporanea diretto da Silvia lucchesi fa parte del programma 50 Giorni di Cinema a Firenze ed è realizzato con il contributo di MIC – Direzione generale Cinema e audiovisivo, Comune di Firenze, Città metropolitana di Firenze e, come main supporter, di Fondazione CR Firenze. Gucci, main sponsor dello Schermo dell’arte dal 2020, conferma il proprio sostegno consentendo l’ingresso gratuito agli under 30 per le proiezioni in programma.
Qui il programma completo.
Qui l’articolo di presentazione su Taxi Drivers.
L’INTERVISTA: SILVIA LUCCHESI RACCONTA LO SCHERMO DELL’ARTE
UN FESTIVAL IN MOVIMENTO
In genere i bilanci si fanno alla fine, invece io vorrei farlo all’inizio, a mo’ di ricognizione: dopo 16 edizioni dello Schermo dell’arte, a che punto siamo di questo rapporto fluido e fecondo tra cinema e arte contemporanea? Come l’hai visto evolversi nel corso degli anni?
Sin da quando abbiamo iniziato a lavorare a questo progetto, che nelle prime edizioni era piccolissimo, siamo stati consapevoli del fatto che fosse molto più vicino all’arte contemporanea che al cinema. Nella prima edizione avevamo presentato solo documentari sull’arte contemporanea, ma ci siamo subito resi conto del fatto che dovessimo affrontare più ampiamente la relazione tra arte e cinema. Abbiamo così iniziato a occuparci del cinema realizzato da artisti. In questi anni, il progetto è andato strutturandosi in direzioni diverse ma senza mai abbandonare l’interesse nei confronti delle moving images. Oltre al festival e al progetto VISIO di residenza e ricerca dedicato agli artisti under 35 curato da Leonardo Bigazzi, Lo schermo dell’arte è impegnato sulla produzione, fa progetti educational e lavora riproponendo opere dell’archivio degli oltre 900 film. Dal punto di vista della sostenibilità economica, questa crescita non sarebbe stata possibile senza un rapporto forte sia con le istituzioni che con i privati.
UNA VISIONE A CAVALLO TRA CINEMA E ARTE
Un segno di questa crescita è probabilmente nel fatto che da interlocutori e organizzatori, con lo Schermo dell’arte siate diventati anche produttori.
Si tratta di un’ambizione che avevamo sin dai primi anni. Per quattro edizioni l’avevamo realizzata attraverso un meccanismo di un Premio. Nel 2020 abbiamo promosso l’Artists’ Film Italia Recovery Fund per sostenere giovani artisti italiani nel periodo della pandemia, producendo 4 opere. L’anno scorso abbiamo lanciato il VISIO Production Fund, un fondo di produzione nato in partnership con due centri d’arte, il Pecci di Prato e il FRAC Bretagne, e due soggetti privati, la Fondazione In Between Art Film e la Seven Gravity Collection. Al festival presentiamo oggi i 4 quattro nuovi film prodotti con il fondo e realizzati da Simon Liu, Gerard Ortín Castellví, Maryam Tafakory e Yuyan Wang.
Fare lavoro di ricerca, per un festival, significa lavorare tutto l’anno.
È così. Il festival è il momento di maggiore visibilità. Ma il lavoro, come dicevi, dura tutto l’anno. C’è una progettazione continua che si accompagna al monitoraggio dei bandi. Grazie ad un bando europeo, tra il 2015 e il 2018 abbiamo potuto realizzare Feature Expanded, un progetto di formazione rivolto ad artisti visivi che volevano realizzare il loro primo lungometraggio. Ad ottobre, alla Talbot Rice Gallery di Edimburgo c’è stata l’inaugurazione della videoinstallazione La montagna magica di Micol Rubini realizzata con il sostegno dell’Italian Council, che vedremo anche nei giorni del festival a Palazzo Strozzi, negli spazi della Strozzina. Abbiamo partecipato al bando Cinema per la scuola che ci ha permesso per la prima volta di fare laboratori con le scuole elementari e medie E’ un costante lavoro di networking con istituzioni del contemporaneo, produzioni e distribuzioni di cinema, altri festival, università.
IL FOCUS DEL 2023: GUIDO VAN DER WERVE
Altro solido elemento del programma dello Schermo dell’arte è quello del focus.
Ogni anno dedichiamo un approfondimento ad un artista il cui lavoro è innovativo del campo delle immagini in movimento. Quest’anno è Guido van der Werve, anche protagonista della Opening Night. In anteprima italiana presentiamo il suo primo lungometraggio, Nummer Achttien – The Breath of Life (2023), che ha girato dopo un incidente quasi mortale. E’ una riflessione sulla sua vita mentre affronta il lungo processo di riabilitazione. E’ strutturato come una serie di movimenti che combinano passato e presente, disperazione esistenzialista e umorismo, gioie e dolori del ricordare e del dimenticare, documentario e finzione. Il Focus comprende anche altre quattro opere realizzate tra il 2003 e il 2012. La sua produzione è caratterizzata da performance in cui spinge il proprio corpo ai limiti fisici accompagnate da arrangiamenti musicali classici spesso composti da lui stesso. Non volendo esibirsi davanti a un pubblico, documenta con il video queste sue performance. Il cinema diventa così il mezzo con il quale trasmettere allo spettatore un’immediatezza emotiva simile a quella della musica.
ALLA RICERCA DI NUOVI LINGUAGGI
Quali sono, invece, le novità di questa edizione?
The Pixelated Revolution una non-academic lecture dell’artista libanese Rabih Mroué, uno dei più importanti protagonisti della scena artistica mediorientale. Da solo sul palco con l’ausilio di un laptop proietta sul grande schermo immagini filmate dai manifestanti con i telefonini durante la rivoluzione siriana del 2011 guidandoci con le sue parole alla lettura critica di tali materiali pubblicati sul web. La sua conferenza non accademica indaga il tema drammaticamente attuale della rappresentazione della violenza e dell’orrore della guerra mediata dagli schermi e dal web.
The Pixelated Revolution di Rabih Mroué
Dal programma vedo che alcune novità riguardano anche artisti italiani.
È il caso dell’omaggio a Diego Marcon in occasione della personale al Museo Pecci di Prato. Conosciamo Diego da quando ha partecipato a VISIO nel 2014 e stimiamo molto il suo lavoro. Oggi è uno tra gli artisti internazionali più interessanti della sua generazione che lavorano con le moving images. Presentiamo cinque opere realizzate animazione e in CGI e un’opera sonora da ascoltare in sala.
WILLEM DAFOE PER LA CLOSING NIGHT
Ma ci sono anche proposte che vengono dal cinema.
Inside di Vasilis Katsoupis, prodotto da Giorgos Karnavas, produttore per esempio di Triangle of Sadness, con protagonista Willem Dafoe che non avrà distribuzione cinematografica in Italia (uscirà solo su piattaforma). E’ ambientato in una penthouse newyorkese di un collezionista di arte contemporanea dove un ladro (Willem Dafoe), entrato per rubare un quadro su commissione, rimane intrappolato a causa di un sofisticato sistema di sicurezza. Il racconto verte sul suo tentativo di sopravvivere e su come le opere d’arte della collezione giochino un ruolo come da protagonista. Ci è sembrata una closing night perfetta.
UN’IDEA “RADICALE”
Non è per solo radicamento, ma anche e soprattutto per valore storico che parlerete del movimento di architettura radicale fiorentino.
Sì! Radical Landscapes di Elettra Fiumi è un documentario sul padre Fabrizio Fiumi e sul gruppo di architettura radicale fiorentino 9999 di cui Fabrizio è stato uno dei fondatori. L’architettura radicale a Firenze negli anni ‘70 ha dato vita a un momento importantissimo della storia culturale della città, ricco di sperimentazioni e utopie. Abbiamo deciso di aprire la proiezione alla città, ad ingresso gratuito.
Radical Landscapes di Elettra Fiumi, 2022
I GIOVANI AL CINEMA
Quello della gratuità degli eventi culturali è un tema molto dibattuto in Italia. C’è chi sostiene che sia necessario sovvenzionare la cultura attraverso il biglietto d’ingresso e chi invece sottolinea l’opportunità di incentivarne la fruizione in modo gratuito, ricavandone una ricchezza diversa, immateriale, in termini di crescita civile del Paese. Non posso fare a meno di notare che avete mantenuto l’ingresso gratuito agli under 30.
L’ingresso gratuito agli under 30 è stato un grande successo dello scorso anno, e ripeteremo questa formula anche in questa edizione grazie al rinnovato sostegno di Gucci, nostro main sponsor. Il nostro intento è di cercare di riavvicinare il pubblico dei giovani alla sala cinematografica, per formare il pubblico di domani. Da qui anche gli accordi con università e accademie per promuovere il festival nei loro corsi.
Vengo proprio alla questione del pubblico. Senza fare sociologia spicciola, almeno per i non addetti ai lavori la percezione è che permanga, tendenzialmente, una frattura tra grande pubblico e linguaggi dell’arte contemporanea. Qual è il tuo punto di vista su questo rapporto a volte problematico e come vi s’inserisce Lo schermo dell’arte?
Se per l’Italia, e in particolare per Firenze, questa osservazione poteva essere fatta qualche anno fa, adesso la situazione è molto cambiata. Il nostro contributo è aver colto che a Firenze c’era uno spazio da colmare e abbiamo dato una risposta al desiderio di contemporaneità, soprattutto della generazione più giovane. Il cinema poi è un linguaggio popolare per eccellenza. I documentari sugli artisti ci hanno permesso di avvicinare pubblici che magari esitavano ad entrare in una mostra di arte contemporanea perché hanno potuto capire che gli artisti vivono e riflettono attraverso le loro opere la stessa realtà in cui anche noi viviamo come cittadini, come pubblico.
IL TESORO SOTTO LA LINGUA: IL FESTIVAL TALK
Nelle strategie di avvicinamento al pubblico, di corpo a corpo con l’arte, di confronto, si osserva come lo Schermo dell’arte punti molto sulla presenza dei diretti protagonisti, gli artisti, e sul formato del talk. Che tipo di riscontro ha osservato negli anni in merito e cosa si aspetta da questa edizione?
Il programma dei Festival Talks ha registrato sempre una grande affluenza di pubblico perché si ha la possibilità di conosce l’artista. Si tratta di momenti fondamentali della vita del festival attraverso i quali possiamo approfondire il lavoro degli autori intorno ai film presentati. I Festival Talks comprendono anche panel di confronto a più voci ai quali partecipano curatori e collezionisti. Per questi incontro cerchiamo di uscire dalla sala e andare nei luoghi dove è il pubblico più giovane. In tal senso, è decisivo poter collaborare con le istituzioni. Quest’anno, per esempio, saremo all’Accademia di Belle Arti con la lecture di Guido van der Werve, alla NUY Florence con la masterclass di Amie Siegel e l’Altana a Palazzo Strozzi dove si terrà il panel Sharing, Connecting and Creating. Moving Images and their Communities, un confronto che parte dalla ricerca del libro che celebra i 12 anni del nostro progetto VISIO, curato da Leonardo Bigazzi.
AL CONFINE DEI MEDIA
Mi incuriosisce la congiuntura del programma dello Schermo dell’Arte nell’ultima giornata, quella di domenica 19 novembre. A esagerare, mi vien da dire: da un lato l’opera di Wang Bing, il più artista dei registi, dall’altro quello di Nam June Paik, il più regista degli artisti. Si può dire che proprio il progetto VISIO sia il cuore pulsante di questa indagine sulle convergenze dei linguaggi?
VISIO è senz’altro il momento di più intensa ricerca e di riflessione sul mondo delle moving images e quindi sulla relazione tra le arti visive, il cinema, l’uso dei new media. Un progetto come VISIO ha consentito allo Schermo dell’arte di allargare la propria rete di relazioni sul piano internazionale.
DEL DOCUMENTARIO D’ARTE E DELL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE
Il cinema si è spesso volto all’arte, non solo in termini di linguaggio, ma anche di contenuto. Sto parlando della crescente fortuna del documentario d’arte negli ultimi anni. Casi eclatanti sono il documentario su Pino Pascali di Walter Fasano (Pino, 2020) o quello su Nan Goldin che ha vinto alla 79ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia (All the Beauty and the Bloodshed, 2022). Dal vostro titolatissimo osservatorio, appare un fenomeno in effettiva crescita oppure trova una continuità rispetto ai decenni passati?
Nel documentario sull’arte il medium cinematografico è utilizzato, non diversamente dalla parola scritta, per interpretare, raccontare e raccogliere dati sul mondo delle arti visive e performative contemporanee. Attraverso l’intervista o la ripresa del lavoro nell’atelier, la cinepresa svela sfumature, originalità, modi inaspettati e privati della personalità dell’artista e si pone come strumento di conoscenza di fenomeni ed esperienze spesso poco conosciuti dal pubblico. Se in questi ultimi anni ha visto una crescente fortuna, dobbiamo tuttavia ricordare che anche in passato ci sono stati film documentari sugli artisti che hanno vinto festival cinematografici, come per esempio Le Mystère Picasso di Henri Georges Clouzot (1955) che ottenne il Premio speciale della giuria al Festival di Cannes nel 1956. Questo è un capolavoro che appartiene a tutti gli effetti alla storia del cinema.