Giulio ed Eleonora, insieme ai figli Ella e Duccio, di 3 e 4 anni, vivono e viaggiano nel camper comprato con i loro risparmi. Il sogno iniziale di superare i confini d’Europa si infrange quando subentra l’esigenza di fermarsi per trovare un lavoro, ma soprattutto per Giulio di affrontare le proprie inquietudini ed ansie.
L’incapacità di trattenersi in un luogo si scontra con l’inevitabile confronto con se stesso e le proprie debolezze: il camper da mezzo per fuggire diviene dimora dove addentrarsi per studiare la propria interiorità e per chiedere aiuto.
Il viaggio come processo di conoscenza
Tiziano Locci prende posto in questo viaggio e racconta con il suo sguardo una famiglia itinerante non appiattita su una narrazione stereotipata: non espone alcuna retorica o filosofia di vita ma dinamiche interne che svelano luci ed ombre delle persone.
Il regista, immerso fisicamente in uno spazio ristretto, ci guida, come spettatori e compagni al fianco di Giulio ed Eleonora, lungo strade impervie quali quelle che caratterizzano le relazioni intime, la vita da genitore e la scoperta di sé. Locci ci introduce gradualmente e delicatamente nella loro vita: prendiamo parte ai loro abbracci, alle loro risate, alla loro rabbia e ai loro sguardi silenziosi. Diveniamo partecipi di un viaggio le cui forze motivatrici sono l’amore, la paura e la crescita, forze universali che ci accompagnano, grazie alla generosa apertura di un uomo e una donna, in un processo di conoscenza, nello specifico quello di Giulio ed Eleonora, ma che potrebbe essere quello di ciascuno di noi.
Qui il trailer di The way daddy rides
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