Festival del Cinema Tedesco
‘La parola che conta’: identità, cultura e prospettive di vita
Un esame dell’imprevedibilità e della progressione della vita
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3 anni agoon
Presentato al Festival del Cinema tedesco 2022 La parola che conta è un Film del 2019 di İlker Çatak. Produzione Ingo Fliess, Xavier Delmas.
La pellicola ha vinto numerosi riconoscimenti, tra cui il premio del Nuovo cinema tedesco e il Bavarian Film Prize per la migliore attrice. Çatak è stato nominato per la sceneggiatura e la regia ai German Film Awards.
La trama
Marion, apparentemente razionale e distaccata, incontra Baran e tutto cambia. Due mondi diversi si sfioreranno soltanto inizialmente, nel corso di una vacanza in Turchia. Due mondi lontani in cui Baran è un ragazzino smarrito e senza casa che vive del presente mentre Marion, pilota di linea aerea, progetta e organizza la sua vita da sempre. I due si ritroveranno legati in in un matrimonio fittizio, ma la vita non sempre procede in modo prevedibile e se il tempo passato è già definito e un nuovo Presente si riesce a costruire, il futuro è tutto da decidere.
Capitolo 1: Ero
All’inizio La parola che conta, titolo inglese I was, I am, I will be, ricorda un po’, per lo stile asciutto e quasi da documentario, Paradise Faith di Ulrich Seidl .
Dopo un iniziale frame in cui vediamo Marion ( Anne Ratte-Polle,) e Baran ( (Ogulcan Arman Uslu) sposi alla Green Card, il film fa un balzo indietro nel tempo a raccontarci come si è giunti a quel momento. Baran è in viaggio, i suoi passi caldi sotto il sole, per le strade dei villaggi vacanze sulla costa turca. In lontananza il Mare e un bagaglio di sogni. Vive alla giornata Baran, coi suoi 23 anni, dorme in riva al mare, viene derubato anche delle scarpe. Trova lavoro in un lido, si lascia trasportare dal sudiciume del luogo, dal sordido ambiente fatto di prostituzione e stenti, ma sogna altro. Le donne con cui trascorre ore vuote sono solo uno strumento a cui chiede di sposarlo per andar via da quel posto.
Voglio vivere con te in Francia. Sposami
chiede in inglese alla ragazza con i pantaloncini e il costume bagnato.
Entra in scena allora Marion , The Queen of the Sky, che cancella tutto ciò che ricorda Seidl. La freddezza del suo personaggio scarta il resto, Marion va contro tutte le aspettative – e questo si riferisce anche alle aspettative della trama del film – e rappresenta il nuovo inizio in Germania per Baran.
Ilker Çatak sorprende qui con uno spiegamento di eventi che non ci si aspetta. Momenti rafforzati soprattutto dai personaggi disegnati dai due attori principali e che vengono presentati nella loro forza disperata e negativa. Baran, che tratta freddamente le donne che non vengono coinvolte nelle sue richieste di portarlo con sé in Europa occidentale. E Marion, che elude anche le richieste del suo uomo (di una relazione più seria) con una freddezza apparentemente senza emozioni. Una storia che è diventata per Marion claustrofobica; non vuole sottoporsi ad un rapporto legato alla pietà. In realtà non ha empatia per sentimenti legati alla commiserazione. Preferisce il distacco emotivo e sceglie di ‘aiutare’ Baran.
Perchè io? Because you’re better. Capitolo due : Sono
Çatak rafforza questa attenzione al dramma personale soprattutto nella seconda parte del suo film che si potrebbe definire ‘l’occasione’ per Baran.
Se nella prima parte avevamo ancora a che fare principalmente con una sottile critica del nostro sistema economico neoliberista, Çatak lascia questi riferimenti nella seconda parte con umorismo secco e amaro. Storia del potere delle strutture e delle possibilità terapeutiche di una relazione interculturale? Anche. Senza che Baran o Marion se lo aspettino, il contratto del loro matrimonio e le routine quotidiane associate in realtà creano un impegno che va oltre l’obbligo. Ma invece del semplice e ovvio romanticismo Çatak gioca ancora con le aspettative alla storia e non si concentra solo su quanto accade di personale a Marion. Mostra anche la relazione passiva di Marion con Raphael (Godehard Giese) sotto una nuova luce. Mostra chi è davvero Marion e mostra soprattutto chi è davvero Baran di cui avevamo solo intravisto il lato selvaggio e ‘approssimativo’. Traspare la sua voglia di imparare, di conoscere e migliorarsi, la sua sensibilità estrema, il suo bisogno di appartenere e di essere autonomo allo stesso tempo, l’interno del ragazzo di strada.
I was, I am , I will be.
Sono le parole che scandiscono il tempo le prime che impara, perché è il passaggio da una fase temporale all’altra ciò che lo sta definendo e che serve a mostrare il suo Io. Il lavoro, il restare, il’ ‘vederci’ bene finalmente ( gli occhiali rappresentano una visione più chiara di ogni cosa) sono ciò che lo rendono reale, non solo a Marion ma soprattutto a se stesso. Il momento in cui si incontreranno davvero coincide con una maggiore consapevolezza dell’identità di Baran mentre per Marion sarà al contrario forse un fuggire, uno ‘scimmiottare’ se stessa e la sua uniforme a cui non sente più di appartenere. Ed è simbolico che il regista abbia volutamente fatto coincidere la presa di coscienza di Baran e delle sue capacità con un successivo allontanamento fra i due.
Capitolo tre: Sarò
Voglio vederti in uniforme un giorno
Sarò. Anche se Baran continua a sostenere che quel che conta è il Presente, quello che c’è ora con Marion, è il Verbo del Futuro il simbolo della terza conclusiva parte del film, momento di svolta per entrambi i personaggi. Nonostante tutti i tentativi anche ‘mentali’ su cultura o possibilità, il film di Çatak, cercando di restare abbastanza imparziale nel rappresentare più che raccontare due esseri che lottano per l’autoaffermazione su livelli completamente diversi convince, soprattutto nel finale, per le dinamiche interpersonali e per il percorso identitario dei due personaggi centrali. Un finale che, nonostante evidenzi la capacità che ognuno di noi ha infine di trovare la propria strada, sottolinea la realistica e difficile possibilità di comunicare tra due anime che, se pur affini, appartengono a due mondi troppo lontani.
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