Conversation
Conversazione con Pietro Castellitto regista de I Predatori: È come se avessi già vissuto il successo del mio film
I Predatori di Pietro Castellitto vincitore con la migliore Sceneggiatura alla sezione Orizzonti Venezia 2020 é un film spiazzante.
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5 anni agoon
I Predatori di Pietro Castellitto vincitore con la migliore Sceneggiatura alla sezione Orizzonti Venezia 2020 è un film spiazzante.
Nel ricordo del cinema di Marco Ferreri e sulla scia di Favolacce dei fratelli D’Innocenzo, I Predatori dell’esordiente Pietro Castellitto racconta la rapacità sociale di personaggi impegnati a fronteggiare una realtà oscura e sfuggente. Di seguito l’intervista al regista.
Con I Predatori mi sembra che tu abbia voluto parlare di uno dei temi più caldi di questa stagione cinematografica e cioè della rapacità dei rapporti umani. Di recente lo hanno fatto i fratelli D’Innocenzo con Favolacce, nel passato invece ti faccio un nome su tutti che è quello di Marco Ferreri, a cui il tuo film si ispira almeno nei toni.
Non a caso mio padre con quest’ultimo girò La Carne.
Facevo riferimento a lui, soprattutto perché dietro all’apparente bonomia dei personaggi si nasconde anche una certa cattiveria, una certa noncuranza dell’altro che si ritrovava nei suoi film.
Soprattutto mi sembra che nel tuo film, come in quello di Fabio e Damiano, la gioventù venga ritratta in maniera complessa. Ne I Predatori la passività, o l’annichilimento, che ne contraddistingue l’esistenza è come in certo cinema indie, ovvero il frutto di una consapevolezza superiore a quella degli adulti e la reazione a un futuro che appare senza speranza.
Sì, è vero. Senza speranza, nel senso che rischi di rimanere figlio per tutta la vita, mentre gli adulti sono totalizzanti al punto di dare l’impressione di rubare le storie ai loro figli. Anche quando protagonisti, i ragazzi sono sempre immersi in un mondo di adulti. Anni fa non era così. Pensa a Francis Scott Fitzgerald che adoro e all’esempio dei suoi romanzi. Ne Il Grande Gatsby non succedeva così. A trent’anni gli uomini si consideravano già adulti , facevano esperienza del mondo, subivano le conseguenze della guerra, ma erano protagonisti del proprio tempo. Il mondo era loro. Sembravano adulti ma poi, se andavi a vedere la biografia, erano giovanissimi.
Nel film c’è una scena esilarante che la dice lunga sul cinema italiano. Mi riferisco a quella in cui vediamo la regista interpretata dalla brava Manuela Mandracchia che dà le spalle al set non accorgendosi di quello che sta accadendo. L’efficacia della composizione non sta solo nel divertimento che produce, ma anche nel dirci di un’arte che non riesce più a “vedere” la realtà per ciò che è.
Nella sceneggiatura la scena era scritta proprio in quel modo. Lei doveva dare le spalle al set e rimanere da sola, per poi alzarsi e urlare, rendendosi conto di essere rimasta lontana dal patibolo in cui l’attore rischia di morire, lontana dalla troupe, lontana da se stessa. Mi fa piacere che venga percepita l’importanza delle spalle rivolte verso il set. In generale, ho creduto nella possibilità di riuscire a scrivere e a dirigere il mio film. Di solito i registi esordienti sono costretti a scrivere la sceneggiatura con persone più esperte. Così facendo la visione iniziale va disperdendosi. È pur vero che per scrivere I predatori ci sono voluti sei anni in cui ho sacrificato tutto. Ho persino smesso di fare l’attore prendendo la stesura del film come una vera e propria missione. L’ho sempre pensata come una cosa possibile. Sentivo che fosse la scelta giusta da fare perché nessuno aveva il coraggio di scriverla in proprio. Mi sembrava che la gente avesse bisogno di una cosa del genere..
Sì, c’è molto di quello che tu dici. C’è il fatto che i personaggi sono mossi da un destino più grande di loro. Stiamo parlando di un film fondato su molte presunte casualità. La mdp spesso rincorre personaggi che non c’entrano nulla con la storia e che infatti vengono abbandonati proprio per amplificare la sensazione di un destino frutto della combinazione di un insieme di casualità. È come se dietro alle coincidenze e ai personaggi ci fosse una trama che non riescono a seguire. Ciascuno pensa con gli strumenti che ha: Nietzsche da questo punto di vista credo sia stato un sismografo, un cervello superiore che ha messo in crisi il pensiero occidentale, mostrando come certi valori che sembravano eterni fossero invece pieni di contraddizioni.
Non a caso i personaggi cercano di invertire il corso degli eventi senza averne la capacità. In questo senso pensavo alla scena del ballo di fronte alla piscina, con i due personaggi beati e inconsapevoli rispetto al tradimento dei rispettivi coniugi. È il trionfo dell’inconsapevolezza e dell’ipocrisia
Sì, assolutamente.
Volevo farti una domanda sulla forma del film. Ne I predatori la messinscena, e in particolare immagini e montaggio, determinano il senso della storia come di raro capita nel cinema italiano. Alla stregua di Favolacce, anche I predatori si apre con una sequenza da ricordare. In parte essa si ricollega al seguito e cioè all’esplosione della bomba destinata a ricomporre la “deflagrazione” narrativa imposta alla storia dalla scena introduttiva. Quest’ultima evoca la detonazione dell’ordigno esplosivo anche nel suo essere caratterizzata dalla predominanza di suoni e rumori, dal ritmo sincopato e più in generale da un impatto sensoriale destinato a stordire lo spettatore, come potrebbe farlo l’onda d’urto provocata da un esplosione.
I predatori è una storia sulla frustrazione e credo che nelle immagini e nel sonoro tutto questo si senta. Il fatto di riconoscere l’arrivo di una macchina che però non vediamo mai passare, come accade in quella sequenza, amplifica il senso di alienazione e la frustrazione che poi ti accompagnerà per tutto il film. Anche l’inganno legato al fatto di pensare che sia il personaggio di Massimo Popolizio a investire la vecchia, mentre invece è colui che le salva la vita concorre al formarsi di queste sensazioni. Da sempre considero la mdp un mezzo in più per raffinare e talvolta esprimere le mie idee.
Il film riflette sulla manipolazione del visivo. I predatori lo fa quando trasforma le immagini del film in quelle del lungometraggio girato dalla regista. La stesso avviene nel momento in cui i personaggi parlano rivolgendosi alla mdp, oppure quando lo spettatore crede di vedere cose diverse da quelle che realmente sono.
Sì, alla fine mi piaceva ci fosse la sala che applaude. A questo proposito mi viene in mente anche quella della Mostra di Venezia al termine della presentazione con le persone che battevano le mani per complimentarsi con me. È stato come guardarsi allo specchio.
Per certi versi I predatori mi ha ricordato un romanzo degli anni ottanta-novanta e cioè American Psycho di Bret Easton Ellis. Anche lì, come nel tuo film, i personaggi non si accorgono della verità che sta di fronte ai loro occhi.
Bellissimo, l’ho letto. Si, Patrick Bateman in pratica confessava i suoi omicidi ma gli altri non capivano cosa diceva. Lui ammetteva la verità e loro non stavano a sentire.
Qui più o meno succede la stessa cosa quando si assiste al tentativo di uccidere il tuo personaggio. Il killer ti punta la pistola alla testa ma nessuno dei presenti, te compreso, se ne accorge.
Quella per me è una delle scene più esemplificative del film. Mi piaceva l’idea di quel personaggio messo dentro un mondo in cui nessuno si accorge di lui. È come se non esistesse, il che è una condizione molto comune nell’esistenza dell’uomo contemporaneo.
Come attore oltre a Freaks Out sarai protagonista di una serie su Francesco Totti. Una responsabilità non da poco, vista l’importanza del personaggio.
editing Margherita Fratantonio