Da più parti si è spesso rimproverato a Riso amaro, capolavoro di Giuseppe De Santis del 1949, di essere un film ‘inquinato’ dal compromesso tra l’esigenza di proseguire nel solco dell’impegno tipico del cinema neorealista italiano, sempre attento ai mali del tempo e della società che metteva in scena, e la volontà di fornire una dimensione spettacolare per esercitare una maggiore presa sul pubblico, con la conseguenza, a detta di qualcuno, di pervenire a un risultato complessivo incerto, contraddittorio se non vacuo.
Questa rigidità di giudizio pare generata dall’incapacità di pensare alla fisiologica necessità di un’evoluzione delle forme, che avrebbe senz’altro giovato allo sviluppo del Neorealismo, e alla possibilità di pensare un cinema che pur trattando gravi questioni sociali, da sottoporre all’attenzione generale, fosse in grado di svincolarsi da una certa retorica dei contenuti e, dunque, anche dello stile. Giuseppe De Santis, ispirandosi in parte al cinema hollywoodiano e in parte a quello sovietico, voleva realizzare un film sulla condizione lavorativa delle mondine che fosse allo stesso tempo impegnato e popolare, realista e spettacolare. D’altronde la vita, osservata nella sua interezza, senza schiacciarla sull’aspetto che si desidera far emergere con maggior risalto, è fatta di molteplici sfaccettature, momenti, parentesi e divagazioni. Insomma, anche all’interno di una quadro per lo più drammatico sono presenti naturali sospensioni che, in un certo senso, interrompono l’azione, un po’ come le conversazioni frivole delle mondine mentre si trovano nei dormitori; o come le splendide danze di Silvana Meliga (l’indimenticabile Silva Mangano), che spezzano magnificamente l’atmosfera oppressiva delle risaie, sulle note di una musichetta jazz proveniente da un giradischi. Accanto alle problematiche urgenti della situazione di tante giovani lavoratrici, costrette a una fatica estrema per un salario appena sufficiente al sostentamento, si giustappongono altre suggestioni, sensazioni: brandelli di vita che fanno da controcanto alla durezza di una realtà da cui si cerca in qualche modo, e sacrosantamente, di evadere. Se è vero che interviene una divisione piuttosto manichea dei caratteri dei personaggi che attraversano il film, con le coppie Gassman-Mangano e Vallone- Dowling che si fronteggiano fino al funesto epilogo, ciò non toglie che le questioni che si volevano denunciare riescono a trovare una connotazione chiara, netta, senza perdere la loro urgente drammaticità.
Il lirismo dei dolly, che salgono per mostrare dall’alto le mondine, le carrellate sulle donne inchinate nelle risaie, la sequenza del temporale, la suggestiva figura di Vittorio Gassman, sdraiato su dei grossi cumuli di riso, nonché il duello ambientato in un magazzino colmo di salumi appesi: il problema della miseria, dell’esser disposti a tutto, finanche a lavorare alla stregua di animali pur di sopravvivere, non perde la propria estrema visibilità, la sua preponderanza, tutta la sua tragicità. Solo uno spettatore miope poteva, e potrebbe, non cogliere l’essenzialità di quanto costituisce l’anima del film realizzato da De Santis, che non solo penetrò efficacemente nel mondo che voleva raccontare, ma riuscì anche assai bene a restituire il volto del territorio in cui l’azione prende corpo.
Il trattamento musicale, anch’esso molto innovativo e ricco, si dipana su tre livelli: con le melodie struggenti composte dal grande Goffredo Petrassi si pone efficacemente l’accento sul dramma di un’Italia ancora lontana dall’opulenza del successivo e imponente sviluppo economico; con le note sbarazzine del maestro Armando Trovajoli si delineano le pause della narrazione principale; infine, con i canti popolari delle mondine, per le quali fu decisivo il contributo di Corrado Alvaro alla sceneggiatura, viene restituita la cultura dell’epoca e del luogo. Oltre a quello di De Santis e Alvaro, sostanziale fu l’apporto del compianto Carlo Lizzani in fase di scrittura. La splendida fotografia fu curata da Otello Martelli, che poi divenne l’operatore di tutto il primo cinema di Federico Fellini.
Pubblicato da Cristaldi Film e distribuito da CG Entertainment, Riso è amaro è per la prima volta disponibile nella versione restaurata in blu ray, in formato 1.33:1, con audio DTS-HD Master Audio 2.0 e Dolby Digital 2.0, con sottotitoli per non udenti opzionabili. Nei contenuti extra sono presenti le interviste a Carlo Lizzani, a Giuseppe De Santis (audio), un intervento di Guido Michelone che racconta il film, la galleria fotografica, il trailer e le recensioni.
Trova Riso amaro su CG Entertainment