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Festival dei Popoli: Studio 54 di Matt Tyrnauer

Studio 54 di Steve Rubell e Ian Schragerha ha il pregio di offrire allo spettatore un quadro reale e non edulcorato della celebre discoteca newyorkese che, alla fine degli anni Settanta, rappresentò il riferimento iconografico della generazione cresciuta nel mito di film come La febbre del sabato sera

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La prima cosa che passa per la testa guardando il nuovo documentario di Matt Tyrnauer riguarda la ragione per quale Hollywood non abbia pensato di ricavare un film dalla storia di Steve RubellIan Schrager, creatori e deus ex machina del mitico Studio 54, la discoteca newyorkese che, alla fine degli anni Settanta, rappresentò il riferimento iconografico della generazione cresciuta nel mito di film come La febbre del sabato sera e Grazie a Dio è venerdì, e santuario di un glamour e di una mondanità di massima tendenza negli Stati Uniti e nel mondo.

Come si apprende dal film, l’eccezionalità del fenomeno legato alla fama dello Studio 54 è la somma di molteplici variabili, ognuna delle quali è destinata a ritagliarsi una posizione di preminenza all’interno della narrazione: a cominciare dall’esperienza umana dei due protagonisti, segnata da un’amicizia nata ai tempi dell’università, e non venuta meno neanche durante i drammatici eventi che portarono alla chiusura del locale. Per continuare con le caratteristiche di eterogeneità del locale, capace di sintetizzare pratiche e stili di vita propri della cultura gay (legata alla frequentazione dei locali in cui si ballava la musica disco) con le liturgie più tipiche della movida notturna e metropolitana. Per coronare la parabola stessa del sogno americano insita nella storia del locale, frequentato da alcune delle celebrità più importanti del jet set americano e mondiale, quindi assurto in poco tempo a una fama senza precedenti solo dopo tre anni e, all’apice del successo, costretto a chiudere per i guai giudiziari dei suoi proprietari.

Detto che Studio 54 ha il pregio di offrire allo spettatore un quadro reale e non edulcorato del celebre locale, lontano dalle semplificazioni della rivisitazioni cinematografiche, a decretare la bontà del progetto sono soprattutto due fattori: il primo va cercato in un punto di vista capace di cogliere le affinità tra la parabola dello Studio 54 e quella della sua epoca, coincidendo la chiusura del locale con la fine di un momento storico (gli anni ’70) e di un gusto musicale. L’altro, invece, è il risultato di un montaggio che isola i vari elementi del racconto e li assembla come fossero i tasselli di un mosaico in cui mito e realtà si fondono e si confondono per realizzare la trama di un vero e proprio romanzo collettivo.

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