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Interviews

Dai Corti di Papà a Sorrentino – Intervista ad Andrea Lodovichetti

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lodovichetti

Prima di tutto, una curiosità: come è nata la tua passione per il cinema?

Grazie a mio padre che, anche se è un medico di professione, ha sempre avuto una grande passione per la fotografia ed il cinema, tanto che a casa ho un mare di rulli super8 con dei piccoli corti che realizzò fin dall’età di 18 anni. A metà degli anni Ottanta iniziò a girare in magnetico anche una serie di reportages di viaggio, montando e scrivendo lui tutti i testi e componendo pure le musiche. Io passavo ore ed ore ad osservarlo mentre lavorava, montava, sonorizzava questi filmati. Tutto è nato così.

Quali sono le maggiori difficoltà per un giovane regista?

Pagare le bollette! E cercare di evitare discorsi in cui iti viene chiesto, per dirlo alla Pennac: “Ma tu nella vita, esattamente, cosa fai?”.

Come potresti descrivere la tua esperienza nel cinema indipendente?

Il bilancio personale che mi sono fatto in questi anni è del tutto positivo. Tutti gli obiettivi che mi sono posto, sono riuscito a realizzarli. In Italia strutture che ti aiutano concretamente, al di là di quel finto mecenatismo di cui siamo tristemente audaci nel belpaese, non ci sono e quindi ho fatto tutto da solo. In questi ultimi anni con i miei lavori sono riuscito a girare il mondo, ottenendo selezioni e premi ovunque. “Non badare a spese, almeno nei sogni!” è uno dei miei motti…

Credi che il cinema italiano, soprattutto quello indipendente, soffra per una distribuzione magra, a volte forse invisibile?

Decisamente ed assolutamente si! E questa situazione è sotto gli occhi di tutti, e nessuno fa nulla per cambiare le cose. Mi rammarica il fatto che la maggior parte dei riconoscimenti, dei contatti, delle proposte e quant’altro mi siano arrivate dall’estero. Da ogni parte del mondo, ma non dall’Italia. Il problema non è solo dei corti che, sappiamo, hanno un mercato del tutto limitato. Ma pure per i lunghi. Penso, per esempio, a quel meraviglioso gioiellino che è Il vento fa il suo giro di Giorgio Diritti. Il resto della storia ora lo conosciamo quasi tutti.

Molti dei tuoi corti sono stati presentati dal Centro Sperimentale di Cinematografia, dove ti sei diplomato. Che tipo di percorso hai fatto?

Ho frequentato il corso di regia nel triennio 2004-2006. Avevo provato anche l’anno precedente, ma non ero stato preso. L’anno successivo, con un nuovo cortometraggio, sono arrivato secondo. E sono entrato. Se ne dicono tante sul CSC, ma non esiste una verità unica ed assoluta. Se il CSC serve o non serve, è utile o non lo è, dipende da te e non dal CSC. Per me è stato determinante, in senso ovviamente positivo: grazie al CSC ho conosciuto anche Paolo Sorrentino, che ha apprezzato il mio lavoro ed ora sono suo assistente alla regia dal 2005.

Parliamo del tuo corto Sotto il mio Giardino, che ha riscosso successi e premi ovunque. Si tratta di un delizioso affresco dell’universo infantile, ma cosa ti ha ispirato per questo soggetto tanto delicato?

Cercavo, per il mio saggio di diploma al CSC, una ”storia di infanzia”. E leggendo il racconto di un amico, maestro elementare (Roberto Santini), ho trovato esattamente lo spunto per la tipologia di storia che volevo raccontare. Ed è nato Sotto il mio giardino. Mi ha colpito molto perché il personaggio principale ha gli stessi tratti, lo stesso carattere che avevo io da piccolo: solitario, riflessivo, osservatore. E’ stato come raccontare me stesso e fare un viaggio a ritroso nel tempo.

Nel tuo corto Fragile, il silenzio di un rapporto complesso tra padre e figlia viene spezzato solo dalla fluidità della musica. Pensi che le parole possono essere superflue in un rapporto?

Se fine a se stesse assolutamente si! Nella vita, talvolta, il silenzio vale più di mille parole. Nel cinema, oltre al silenzio, in assenza di parole, c’è il sonoro e la musica. Ma in Italia, a parte rare eccezioni, il concetto di “Sound Design” non sappiamo nemmeno cosa sia – ed è un enorme peccato!

Laura Novak

 www.myspace.com/andrealodovichetti

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