Disponibile da dicembre su RaiPlay, La chitarra nella roccia è il film concerto di Lucio Corsi, girato interamente su pellicola 16mm e diretto da Tommaso Ottomano, fratello d’arte e complice creativo del cantautore toscano. Non si tratta di un semplice live filmato, né di un tradizionale documentario musicale. É un’esperienza cinematografica che riesce a catturare il momento di massima espressione dell’artista: il concerto. Senza mediazioni narrative o confessionali.
A differenza di altri film musicali presentati alla Festa del Cinema di Roma – come Willie Peyote – Elegia sabaudao Il tempo delle noci documentario su Brunori Sas – Corsi non sceglie di raccontarsi né di farsi raccontare. Decide invece di mostrarsi nel luogo che sente più vero: il palco. Un palco che, all’Abbazia di San Galgano, si sviluppa su tre livelli e diventa spazio rituale, luogo d’incontro tra sacro e profano.
Un sogno lungo dieci anni
L’idea del film non nasce come espediente commerciale derivante dal successo recente (da Sanremo all’Eurovision fino alle Targhe Tenco), ma fa parte di un progetto, un sogno che ha radici lontane. Così racconta Corsi:
“Sono passati più di dieci anni da quando io e Tommaso Ottomano ci siamo detti che avremmo voluto fare un concerto dentro l’Abbazia di San Galgano. Alla fine ce l’abbiamo fatta, suonarci dentro è stata un’esperienza unica che era obbligatorio immortalare con una cinepresa”
Tra le rovine illuminate dal tramonto, atterrano due amplificatori giganti, sedici musicisti e i loro strumenti. Nonostante l’assenza di un tetto, che consentirebbe alla musica una facile via di fuga verso il cielo, le canzoni vengono “intrappolate”. Prima in un film, poi in un disco live che accompagna l’uscita dell’opera.
Il concerto nella realtà è durato quasi tre ore, scandito dai tempi dilatati della pellicola: pause necessarie per ricaricare le bobine, ciak che interrompono e sacralizzano l’attesa. Il pubblico sa di trovarsi su un set, ma vive l’esperienza come un’apparizione irripetibile. La scaletta attraversa l’intero immaginario di Corsi, con brani tratti da Bestiario musicale, Cosa faremo da grandie Volevo essere un duro. Le canzoni accompagnano lo spettatore in questo viaggio ancestrale fino al nucleo emotivo del live con Nel cuore della nottee Francis Delacroix.
Ottomano, regista prevalentemente di videoclip musicali, guarda ai grandi film concerto che hanno segnato l’immaginario musicale – dai Queen a David Bowie – ma li filtra attraverso un’estetica primitiva, quasi da cinema delle origini. Le riprese richiamano le vedute dei Lumière: niente sceneggiatura, solo l’urgenza di catturare ciò che accade. Un cameraman in camice bianco, come nella televisione degli anni Cinquanta, sale e scende dal palco, si muove tra gli strumenti, rompe la quarta parete. Anche gli errori e i problemi tecnici restano nel film, perché parte fondamentale della verità del concerto.
Il palco come unico orizzonte
Non c’è un vero backstage che viene inquadrato: il film rimane sempre sul palco, dando spazio all’intera banda e all’energia collettiva che la attraversa. Corsi è un padrone di casa umile, lascia spazio agli altri musicisti, a Ottomano, persino all’amico immaginario che tutti vedono, il fotografo di Volpiano Francis Delacroix che prende corpo nel caos controllato del live. Le poesie si alternano alle canzoni. Il cantautore fa stage diving lungo la navata centrale, mentre la luce del rosone illumina i momenti più intimi, ridotti a voce e pianoforte.
Il finale è un rito freak e corporeo: Cosa faremo da grandi?e Il Re del raveaccompagnano l’ultima ascensione di Corsi, fluttuante tra le mani del pubblico, seguito dalla steadycam, fino a scomparire nel cuore della notte toscana.
Restare bambini, anche dopo il successo
La chitarra nella roccia è un’esperienza musicale che i veri fan apprezzeranno, ma che funziona anche come porta d’ingresso nell’universo di Lucio Corsi. Spesso definito un “folletto cantastorie” capace di riportare la musica a una dimensione antica e fuori dal tempo. Un artista che, anche dopo il successo, sceglie di tornare a casa e giocare ancora con chitarre e amplificatori tra le rovine di un’abbazia. Perché le canzoni, quando non hanno un tetto sopra la testa, sanno ancora trovare da sole la via delle nuvole.