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Intervista ad Alessandro Trabace: la musica incontra Ultracinema

Ad Ultracinema Art Festival, il violinista Alessandro Trabace e i retroscena della sua esibizione

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A Ferrara, la città del cinema, esordisce Ultracinema Art Festival, un luogo di incontro tra immagini, suoni e sperimentazione, dove la settima arte smette di essere solo visione e diventa un’esperienza viva e pulsante. Nato da un’idea del direttore artistico Jonny Costantino, il festival diventa il cuore di culture, filosofie e arti completamente diverse, ma che condividono alla base la stessa radicalità. In questo panorama viscerale e libero, arriva il violinista e polistrumentista italiano Alessandro Trabace, che porta con sé la leggerezza degli archi e un’idea di musica capace di dialogare con lo schermo.

Lo abbiamo intervistato per farci raccontare il suo approccio allo spartito, il suo rapporto con Ultracinema e cosa significa lasciare che il corpo venga trasportato dalle immagini su cui improvvisa.

Il filo che lega tutte le arti

Alessandro Trabace su La Fine di Daniele Cabri, immagini gentilmente concesse da Ultracinema Art Festival

Da dove nasce la tua passione per la musica? Il violino è il tuo primo strumento?

La mia passione per la musica viene inevitabilmente, mi è piombata addosso perché vengo da una famiglia di musicisti. Mio padre è musicista, mio fratello è musicista e quindi non potevo esentarmi dall’iniziare questo percorso. In realtà, ho iniziato un po’ per ripicca. I miei genitori non volevano introdurmi a questo mondo perché ero l’ultimo figlio, e si erano scocciati di sentire strumenti in casa. Però mi sono impuntato.

La passione mi è nata da un film che si chiama Canone Inverso. C’erano le musiche di Morricone, c’era questa figura di un violinista e mi è piaciuta proprio la sagoma, l’immagine, del violinista. Poi sono entrato in conservatorio, dove il violino è stato lo strumento che ho studiato per più tempo, perfezionandomi negli anni, facendo un percorso classico da cui poi ho deragliato negli anni.

In quanto artista, come leghi il cinema e la musica?

Per me sono due cose imprescindibili. Sono cresciuto con il cinema muto, quindi con le musiche di Charlie Chaplin. Credo che siano due linguaggi che riescono a lavorare molto bene insieme. Lì dove magari non arriva l’immagine arriva la musica, e viceversa. Quindi il connubio tra le due arti è una potenza assurda.

Dietro le quinte della performance a Ultracinema Art Festival

Alessandro Trabace su La Fine di Daniele Cabri, immagini gentilmente concesse da Ultracinema Art Festival

Quanto sono importanti per te la tecnica e l’emotività durante l’esecuzione? Prediligi una delle due?

Avendo fatto un percorso molto rigoroso, cerco di concentrarmi sulla tecnica, ma poi, quando eseguo, sono tutto emotività. Quindi la tecnica la dimentico. Credo di averla imparata per dimenticarla, fondamentalmente.

Quali sono i tuoi punti di riferimento artistici al di là della musica?

Sono cresciuto con il teatro italiano di Edoardo De Filippo. Sono un grande fan del teatro napoletano, di tutta la scena napoletana, da Totò a Troisi, e anche del cinema muto. Quindi il cinema ha un grande impatto su di me.

Per quanto riguarda la composizione, qual è il tuo processo creativo?

In questo caso, ho lavorato molto sul tipo di suono da utilizzare. Infatti, sapendo che la pellicola era 8 mm, ho voluto utilizzare un mangiacassette, un nastro che processavo con delle macchine e a cui ho aggiunto la viola, che ha una sonorità rispetto al violino molto più cupa e drammatica, avendo una corda più bassa rispetto al violino, che lo sento un po’ più stridente.

Mi sembrava un tipo di set più evocativo. Rispetto ad altri tipi di lavori non ho scritto nulla, non ho scritto note. Mi sono fatto traghettare più dalle immagini.

La potenza evocativa delle immagini in movimento

Alessandro Trabace su La Fine di Daniele Cabri, immagini gentilmente concesse da Ultracinema Art Festival

Come si sposano i tuoi lavori con la visione di Ultracinema?

In questo ci ha visto lungo Jonny Costantino, devo dire, perché non sapevo cosa aspettarmi io stesso. Mi ha mandato questa pellicola che mi sembrava molto lontana da tutto quello che avevo fatto, quindi molto evocativa. Mi è sembrato veramente che potessi fare una ricerca che non mi è consentito fare in altri lavori, col cinema, dove è tutto più standardizzato.

Invece con questo tipo di pellicola sporca, molto criptica anche, se vogliamo, mi sono un po’ fidato di essere cercato da qualcosa.

Qual è un film già esistente sulla quale ti piacerebbe improvvisare o per il quale ti piacerebbe comporre le colonne sonore?

Mi piacciono molto i film di Herzog, che ha delle musiche bellissime, tra l’altro. Mi piacciono molto le musiche che sono state scelte da Pasolini nei suoi film. Bach, Morricone…

Poi, abbiamo appena fatto due colonne sonore per il cinema di cui sono molto soddisfatto, tra cui una con mio fratello Orfeo, su cui abbiamo fatto un tipo di scrittura molto pianistica e orchestrale. Ecco, diciamo che non so cosa vorrei fare, ma so che quello che sto facendo mi piace.

Vivere l’arte a 360 gradi

Alessandro Trabace su La Fine di Daniele Cabri, immagini gentilmente concesse da Ultracinema Art Festival

In questi giorni hai avuto l’opportunità di visitare Ferrara? Come ti rapporti con l’arte ferrarese, in questo caso il cinema?

No, purtroppo no. Le altre volte che ci sono stato non ho mai avuto tempo. La conosco cinematograficamente, ma non l’ho vissuta tanto. Per quanto riguarda l’arte… Non lo so, quello che ho vissuto oggi mi sembra un bel punto di inizio.

Che consiglio daresti ai giovani artisti?

Un saggio diceva non accettare mai consigli. Ma, comunque, direi loro di capire quello che piace realmente e cercare di farlo nel migliore dei modi, senza compromessi. Buttarsi un po’, fidarsi anche delle proprie paure, certe volte.

 

 

Un ringraziamento speciale a Mariachiara Iannizzotto, Letizia Cenerini e a tutto il team di Ultrapress, coordinato da Ylenia Politano, di Ultracinema Art Festival.

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