Nelle famiglie contadine dell’Italia meridionale la preparazione della conserva è un rito collettivo che segna ogni estate: un momento di lavoro condiviso, cura reciproca e rafforzamento dei legami comunitari. Quel gesto antico – tramandato di madre in figlia, di generazione in generazione – diventa il fulcro narrativo di Chello ‘ncuollo, il cortometraggio diretto da Olga Torrico e prodotto da Sayonara Film in collaborazione con Articolture, presentato in anteprima ad Alice nella Città nel 2023, dove ha ottenuto il Premio Rai Cinema Channel.
Il primo divieto
Renata (Lavinia Sannino) vive in un piccolo paese di campagna, dove la vita scorre secondo i ritmi del lavoro nei campi e delle tradizioni rurali. Durante l’estate, mentre la famiglia si prepara alla rituale produzione della salsa di pomodoro, la ragazza scopre di avere il suo primo ciclo mestruale. È un evento naturale che però nella comunità acquisisce un significato inquietante, come spiega la regista:
“Chello ‘ncuollo è un’espressione dialettale che si usa per riferirsi al ciclo senza nominarlo. Significa quella cosa addosso, come se fosse un presagio negativo che grava sul corpo.”
Nella cultura locale, infatti, una donna che ha il sangue “addosso” è considerata impura, capace di contaminare ciò che tocca: la salsa potrebbe marcire, le piante potrebbero seccare, persino la terra potrebbe ribellarsi.
Per Renata, questo significa un’esclusione immediata: è costretta a rinunciare alla sua partecipazione alla ritualità, al suo ruolo nella famiglia e nella comunità.
Il corpo come potere e minaccia
Chello ‘Ncuolloaffronta uno dei nodi più antichi della cultura patriarcale: la doppia natura attribuita al corpo femminile. Da un lato, simbolo di fertilità, nutrimento, continuità. Dall’altro, percepito come instabile, pericoloso, bisognoso di controllo. Il film lo mette in scena con sguardo sensibile e asciutto, lasciando emergere senza retorica la tensione tra identità personale e imposizioni collettive.
Il cortometraggio è stato inserito nella cinquina speciale dei Nastri d’Argento 2024 dedicata alle opere che affrontano il tema della violenza di genere: il tabù del corpo femminile è ancora oggi una forma di violenza culturale e simbolica che condiziona crescita, autonomia e desideri delle donne.
Santa Lucia: un simbolo che illumina
All’interno del racconto, l’immagine di Santa Lucia svolge un ruolo fondamentale. La figura della santa, che secondo alcune leggende si oppose a un matrimonio imposto e pagò con il martirio, ma che conservò miracolosamente la vista, diventa un segno di resistenza. Una guida silenziosa che accompagna Renata, e con lei tutte le donne che crescono in contesti in cui l’identità femminile è ancora imbrigliata da credenze e interdizioni.
Se per la tradizione il sangue mestruale incarna un potere oscuro e misterioso, il film suggerisce che esista un potere più grande: quello capace di spezzare il retaggio, di contraddire le aspettative, di scegliere la libertà.
Un racconto rosso vivo
Con una sceneggiatura essenziale che si affida esclusivamente al dialetto, Chello ‘Ncuollo mette in scena un conflitto antico eppure contemporaneo, restituendo dignità e complessità a un rito di passaggio troppo spesso avvolto nel silenzio.
La storia di Renata diventa così la storia di molte: un inno alla possibilità di resistere, come Santa Lucia, a ciò che viene imposto. E un invito a riscrivere il rapporto tra identità femminile, tradizioni e libertà.