Medfilm Festival

‘Dreamy, Uncertain & Dying Everyday’: i desideri imprigionati

Al Medfilm festival

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Dreamy, Uncertain & Dying Everyday, l’opera che rappresenta come la paralisi interiore è più letale di qualsiasi dramma esterno. Selezionato da importanti vetrine, dall’African Film festival, per poi passare al BUFF, all’UCIFEST. Ancora al Khouribga International African Film Festival e alla 31° edizione del festival di Sarajevo; Dreamy, Uncertain & Dying Everyday  sbarca per la prima volta in Italia grazie al MedFilm Festival di Roma.

Dreamy, Uncertain & Dying Everyday: Il sogno immobile di Shehab

Il cortometraggio ci introduce a Shehab, un giovane prigioniero della sua stessa inadeguatezza silente, il cui sogno è quello di diventare insegnante di psicologia. La sua unica evasione è un incontro virtuale che innesca un fragile viaggio interiore fatto di desideri inespressi e paure paralizzanti.

‘Dreamy, Uncertain & Dying Everyday’

Il Coming-of-age: l’età dell’incertezza

Fin dal titolo, l’opera del giovane egiziano Hossam Waleed si impone come la cruda sintesi di un malessere universale: il senso di sospensione tra desiderio e l’implacabile realtà che accompagna il passaggio all’età adulta. È il dramma di una generazione che lotta per tradurre l’identità interiore in una presenza capace di reggere l’urto della realtà.

Dreamy, Uncertain & Dying Everyday si impone come un ritratto essenziale e dolorosamente sincero del coming-of-age nell’epoca della disillusione. Nel protagonista Shehab si cristallizza la figura del giovane adulto sospeso. Archetipo contemporaneo di una generazione imprigionata, non da ostacoli esterni, ma da una profonda inadeguatezza che inibisce la possibilità di tradurre il desiderio in azione concreta, confinandolo nel silenzio e nell’invisibilità. Come si fa a crescere quando la propria voce sembra non avere spazio nel mondo?

Il cortometraggio non celebra il “diventare”, ma indaga la paralisi prodotta da una pressione sociale che non ammette incertezze. In questa prospettiva, il coming-of-age si misura non attraverso le azioni compiute, ma attraverso il peso delle esitazioni non superate. Dreamy, Uncertain & Dying Everyday si configura così come un commento universale sul dramma di chi è chiamato ad assumersi la responsabilità del proprio futuro e a tradurre l’identità interiore in una presenza capace di reggere l’urto della realtà.

Dreamy, Uncertain & Dying Everyday: l’azione delle parole

Il cuore del cortometraggio pulsa in una scena di apparente semplicità ma di straordinaria intensità. La sorella guarda Il grande dittatore di Chaplin, e Shehab, stupito, chiede se davvero l’attore stia parlando. In quella domanda, così ingenua e sincera, si nasconde il nucleo della sua crisi interiore.
Chaplin, da sempre simbolo del silenzio, è stato un maestro capace di comunicare emozione e senso senza bisogno di parole. In quel mutismo, il protagonista aveva trovato rifugio, riconoscendo in esso la propria stessa incapacità di esprimersi. Ma la scoperta della voce di Chaplin, una voce che si alza contro la tirannia e afferma con forza la dignità umana, lo disarma e lo mette di fronte a sé stesso.

Quel momento non segna un’azione visibile, ma apre una frattura interiore. È il punto in cui Shehab intuisce che il silenzio, da rifugio, è diventato prigione. Il discorso di Chaplin non è solo un suono che attraversa lo schermo: è un richiamo, un invito a immaginarsi finalmente come qualcuno che può parlare, agire, definirsi. In quel frammento di film, Shehab scorge, forse per la prima volta, la possibilità di superare la propria afasia e di entrare in contatto con il mondo reale.

La sorpresa di Shehab riflette la sua paralisi esistenziale. La sua incapacità di immaginarsi o concepirsi come un individuo che parla, che prende posizione e che supera il silenzio, un’incapacità che è il sintomo della sua lotta per l’affermazione di sé.

Dreamy, Uncertain & Dying Everyday: il trailer

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