Medfilm Festival

‘Deadlock’ tra speranza e incertezza

Una supplica per un fratello

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Lucien Beucher e Madhi Boucif firmano la sceneggiatura e la regia di Deadlock, un cortometraggio di circa 10 minuti, proiettato durante la 31esima edizione del MedFilmFestival.

Un frammento di vita catturato in presa diretta, dove la realtà viene rappresentata come una supplica a Dio, ai propri cari, a se stessi.

Deadlock: due amici tra futuro e incertezza

Sifou e Mahrez sono amici d’infanzia. Entrambi hanno 17 anni, sono cresciuti a Sidi Lekbir, in Algeri, ed entrambi hanno un fratello maggiore immigrato illegalmente in Europa. Persi tra il destino cupo che promette il loro quartiere e l’incertezza che si profila all’orizzonte, non fanno altro che chiedersi se riusciranno a rompere questa impasse. [sinossi ufficiale]

Lucien Beucher e Madhi Boucif

Le parole rivolte al fratello

Due giovani registi, al loro esordio cinematografico, ci regalano un brandello di vita vissuto da due loro coetanei. Una rappresentazione cruda e reale che traspira una vocazione spirituale a tratti poetica. Deadlock è un tentativo, ben riuscito, di contaminazione tra il visibile e l’invisibile, tra quello che vogliamo far intendere agli altri e i nostri più segreti sentimenti, quelli che custodiamo gelosamente nel nostro cuore.

I due protagonisti sono amici da sempre e come avviene alla loro età condividono tanto, probabilmente tutto. Entrambi hanno un fratello che è immigrato verso l’Europa. A loro si rivolgono, soprattutto Sifou che, dopo aver dialogato scherzosamente con i propri amici, si volta verso  suo fratello.

Il suo parlare, è un monologo sincero, colmo d’affetto e preoccupazione per quel fratello maggiore che è andato via dalla sua terra, solcando il mare, con la speranza di salpare in Europa. Ma sarà arrivato? Sarà al sicuro? Dio veglia su di lui.

La miseria della terra, l’ignoto del mare

L’ignoto preoccupa Sifou. Il mare, dove lui era solito andare a pescare con il fratello, è ora ignoto e pericoloso. Un’ entità dualista, tra il bene e il male, capace di donare e togliere la vita. Una scommessa con il destino quella del fratello maggiore di Sifou che abbandona la terra alla ricerca di una riscossa. Un viaggio disperato verso l’ignoto che rammenta le parole della poetessa Warsan Shire:

Nessuno mette i propri figli su una barca a meno che l’acqua non sia più sicura della terra”.

È questa frase, tanto semplice quanto immediata, diventa il sottofondo implicito di Deadlock, dove l’ambientazione cupa, grigia non mostra la guerra, ma allude a un futuro incerto, in pericolo quanto, forse più disperato del viaggio in mare.

Deadlock: un’impasse fisica e mentale

Il luogo, appunto ,dove si svolge il tutto, assume un ruolo primario. I due registi mostrano l’Africa, al di là del Mediteranno, in maniera insolita. Non c’è quasi mai il sole e quando c’è i suoi raggi non trasmettono calore, ma inquietudine. Il paesaggio è tagliato dalle onde e da un vento gelido e i protagonisti del cortometraggio appaiano imprigionati in una gabbia a cielo aperto, dove non c’è possibilità di respirare. Una gattabuia claustrofobica che rende i giovani protagonisti di Deadlock intrappolati in una strada senza uscita, come allude il titolo.

Un’impasse fisica, resa visivamente dai due registi incastrando i personaggi tra la loro misera terra e il profondo mare, capace, al contempo di salvarli e annegarli. L’impasse, poi, si sviluppa interiormente. Una contrapposizione intima che, come un poema lirico, affiora nella supplica di Sifou. Le sue parole generano un fiume di sentimento disperato e pacato, preoccupato e speranzoso, di vita e morte. Questo flusso interiore è accompagnato da immagini, semplici, allusive che, coerentemente, traducono i sentimenti del protagonista, dando al cortometraggio – almeno in alcuni frammenti – l’aspetto e la funzione di un reading sperimentale, tra melodia di parole e immagini pungenti.

In questo modo Lucien Beucher e Madhi Boucif danno voce a un’intera generazione che, dall’altra sponda del Mediteranno, sogna l’Europa, schiacciati tra attrazione e avversione, rivolgendo l’ultimo saluto, l’ultima preghiera ai propri genitori, impotenti dinnanzi al futuro incerto dei propri figli.

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