Medfilm Festival

‘Hi Mom, it’s me, Lou Lou’, ritrovare se stessi dalle proprie colpe

Identità queer e accettazione nella Turchia repressiva

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Tra i titoli più intensi in concorso al Med Film Festival, approda nella sezione dei cortometraggi Hi Mom, it’s me, Lou Lou del regista turco Atakan Yılmaz. Il corto porta sullo schermo una storia intima e dolorosa di identità, colpa e riconciliazione. Il festival, da sempre attento alle voci emergenti del cinema mediterraneo e mediorientale, conferma anche quest’anno il suo impegno nel dare spazio a narrazioni che interrogano la contemporaneità attraverso lo sguardo personale degli autori.

Hi Mom, it’s me, Lou Lou

Istanbul. Makki è una giovane drag queen, sopranominato Lou Lou, amato e rispettato nel locale dove si esibisce. La sua vita procede serena fino a quando una telefonata da parte della sorella lo sconvolge: la madre è venuta a mancare.
Questo evento traumatico lo costringe a tornare a casa, dove si ritrova a fare i conti con una famiglia che non vedeva da tempo e con il peso di un padre autoritario, simbolo di un nucleo familiare ancorato a una mentalità conservatrice.

L’ambiente domestico, chiuso e opprimente, diventa per Lou Lou uno spazio di costrizione. Inizia così a sentirsi soffocato, tormentato da un senso di colpa profondo legato alla propria sessualità. Emblematica è la scena in cui il protagonista cade nella tomba della madre: un gesto simbolico che rappresenta il desiderio di sotterrarsi, di espiare i propri “peccati” agli occhi di una società che non accetta la diversità.

La repressione invisibile di una società immobile

Il regista Atakan Yılmaz costruisce attraverso questo corto il ritratto di una Turchia ancora restia ad accogliere i “diversi”. È un Paese attraversato da un clima politico sempre più rigido nei confronti della comunità LGBTQ+, dove l’espressione della diversità è spesso ostacolata da leggi e pregiudizi sociali. Questa tensione contemporanea si riflette nella vita del protagonista, rendendo il suo corpo e la sua identità terreno di conflitto tra libertà individuale e repressione collettiva.

Makki, vero nome di Lou Lou, non comprende più il proprio corpo, né la propria identità. Mente per nascondersi dalla famiglia, si colpevolizza per la morte della madre, l’unica figura che sembrava comprenderlo davvero. In questo contesto, la sua esistenza diventa un atto di resistenza, un tentativo disperato di affermare se stesso in una società che criminalizza l’amore e la libertà personale.

L’eredità materna e la liberazione del sé

In Hi mom, it’s me, Lou Lou, la figura materna incarna un’eredità femminile che Lou Lou percepisce come propria: una trasmissione simbolica di sensibilità, empatia e libertà espressiva che il protagonista fa sua nel processo di costruzione della propria identità di genere. La madre diventa così il legame tra la sua femminilità interiore e la possibilità di affermarla nel mondo.
È l’unico sguardo autentico di amore e comprensione nei confronti di Lou Lou, in netto contrasto con il resto della famiglia, saldamente ancorata a una visione del mondo conservatrice. La sua assenza, quindi, diventa un vuoto affettivo ma anche un richiamo alla necessità di accettarsi.

Nel finale, il corto ci suggerisce che la liberazione del corpo e dell’identità è l’unica via per riconciliarsi con se stessi. Solo attraverso questa accettazione si può ritrovare un legame autentico con chi ci ha amati senza condizioni — con quella madre che, in vita e in morte, continua a rappresentare la sua più profonda verità.

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