Medfilm Festival

‘Ange’ di Tony Gatlif: la musicalità come forma di esistenza

Fuori concorso al MedFilm Festival

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Lo studio della musica popolare affonda le sue radici all’inizio del Novecento, quando i musicologi, mossi da un impulso nazionalista e dal desiderio di riscoprire l’autenticità delle proprie origini culturali, iniziarono a percorrere i luoghi più remoti delle loro terre per raccogliere i canti e le melodie di un mondo arcaico. È quello stesso spirito di ricerca che muove il protagonista di Ange, presentato a Cannes 2025, selezionato fuori concorso al MedFilm Festival. Il film segna il ritorno alla regia di Tony Gatlif, autore franco-algerino che da sempre esplora il nomadismo come condizione esistenziale prima ancora che geografica. Con la sua consueta forza visiva e musicale, Gatlif realizza un road movie in cui la libertà e il silenzio diventano due poli di una stessa tensione: quella verso la verità.

Un uomo in fuga dal passato

Il protagonista, Ange (interpretato da Arthur H), vive su un furgone, colleziona nastri e frammenti sonori della tradizione gypsy, e attraversa un’Europa ancora intrisa delle sue contraddizioni storiche. Non fugge dal mondo, ma da sé stesso. Nel suo viaggio lo accompagna Solea (Suzanne Aubert), la figlia che non ha mai davvero conosciuto e che lo segue per capire le proprie origini — e forse per colmare il silenzio di una verità mai detta.

L’incontro tra i due non è fatto di parole, ma di gesti, sguardi, respiri. La comunicazione passa attraverso la materia viva del suono: musiche gitane, arabeggianti, flamenco e rock si alternano, si scontrano e si fondono, fino a diventare l’unico linguaggio possibile.

Viaggio nel tempo e nella memoria

Lungo il tragitto, tra paesaggi polverosi e villaggi dimenticati, Gatlif costruisce un film senza nostalgia, ma intriso di memoria. Oggetti come nastri, VHS, libri e strumenti musicali emergono come reliquie di un tempo che non smette di vibrare. La “piccola biblioteca sepolta” che i personaggi incontrano lungo il cammino è un simbolo della memoria collettiva che continua a respirare sotto la superficie delle cose. In contrapposizione a una contemporaneità consumista che riduce la musica a esperienza effimera, Ange sceglie la permanenza e la fisicità degli oggetti musicali, forma di resistenza culturale.

La musica come respiro vitale

È la musica gitana a guidarlo lungo tutta la narrazione, come una brezza leggera che accompagna ogni suo gesto, ogni suo passo, ogni esitazione. Nel viaggio verso un vecchio amico e nel difficile riavvicinamento con la figlia, l’uomo è costretto a confrontarsi con le contraddizioni delle proprie scelte, con il peso del passato e la fragilità del perdono.

La musica, onnipresente, diventa respiro e spazio: riempie il silenzio, si sovrappone ai dialoghi, fino a esplodere nell’epilogo, dove le parole si spengono e resta solo il suono, pura vibrazione emotiva che restituisce al film la sua dimensione più autentica e spirituale.

Una libertà conquistata

Girato dopo il silenzio forzato della pandemia, Ange è, nelle parole del regista, il suo film “più libero”. Una libertà non estetica ma esistenziale: quella di un uomo (e di un autore) che continua a cercare, a muoversi, a lasciarsi attraversare dal mondo. In questo senso, Ange è una sorta di alter ego di Gatlif: un’anima errante che trova nella musica e nel viaggio l’unico modo possibile per restare vivo.

Con Ange, Tony Gatlif firma un film ruvido, luminoso e profondamente sincero, un atto d’amore verso la vita e le sue imperfezioni. È un cinema che non ha bisogno di alzare la voce per farsi sentire.

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