Medfilm Festival

‘Le aquile della Repubblica’: fantapolitica… ma non troppo

Le aquile della Repubblica di Saleh è una satira politica visivamente serrata, con elementi thriller e drammatici

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Presentato al 31esimo MedFilmFestfestival, kermesse cinematografica che presenta la variegata e ricca produzione filmica del Mediterraneo, Le aquile della Repubblica di Tarik Saleh, co-prodotto da Svezia, Francia e Danimarca, nelle sue imperfezioni è un interessante dramma meta-cinematografico.

Interpretato da Fares Fares, versatile attore carismatico, la pellicola di Saleh, nella sua struttura di thriller, ha una vena sarcastica, che si riallaccia ai film fantapolitici tipo Z-L’orgia del potere di Costa-Gavras. Una riflessione, attraverso la commistione dei generi, sullo stato cinematografico dell’Egitto (e non solo).

Sinossi de Le acquile della Repubblica

George Fahmy (Fares Fares) è la star più famosa del cinema egiziano. Proprio per questa ragione gli viene chiesto con modalità ricattatorie di interpretare il Presidente Abdel Fatah al-Sisi in un film che inneggi alle sue gloriose gesta nella fase che ha preceduto il suo insediamento.

George non può rifiutare anche perché metterebbe in pericolo la vita del figlio ma la sua accettazione non è destinata a semplificargli la vita.

Fanta-politica cinematografica… ma anche realtà

Le aquile della Repubblica è una pellicola aderente alla realtà, sebbene opti per una forma narrativa molto cinematografica. Un’opera che riporta subito alla mente il cinema fantapolitico di un tempo. Anni fitti di dubbi in cui si fantasticava di complotti e colpi di stato. Che poi avvenivano.

Sceneggiato dallo stesso Tarik Saleh, il regista ha le idee chiare, però le sue idee sembrano confondere l’intento finale. Ricalca tecnicamente molto bene i thriller politici del passato, come per esempio Rebus per un assassinio di Herbert Ross o Va’ e uccidi di John Frankenheimer, ma non riesce a catturare appieno lo stesso ritmo e la stessa tensione.

Per tutta la durata del film seguiamo l’ascesa e la caduta di George, che viene coinvolto in una cospirazione governativa e lentamente perde il controllo della sua vita pubblica, costruita attentamente.

Sempre più invischiato nella vicenda, pare un uomo sempre meno autorevole, uno spettro che apparentemente fluttua da una scena all’altra. Fin dall’inizio, i suoi rapporti con il figlio, l’ex moglie, gli amici e la fidanzata sono apatici e marginali rispetto alla sua vita. Sebbene – come molte delle scelte narrative di Saleh in teoria abbiano senso – queste relazioni non cambiano mai né influenzano in modo significativo il corso caratteriale del protagonista.

Ciò che rimane costante è il fascino e la raffinatezza di Le aquile della Repubblica. Visivamente Saleh mantiene tutto serrato e intenzionale. Un validissimo esempio di regia tecnica, in cui l’estetica sopperisce alle falle narrative della satira politica e cruda che vorrebbe rappresentare. Tranne che per un improvviso colpo di scena nel terzo atto, in cui tutto combacia.

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